Professione e Mercato

Compensi avvocato: vale il preventivo firmato dal cliente

Per la Cassazione, il giudice non può liquidare una cifra inferiore rispetto a quanto indicato nel preventivo sottoscritto dal cliente senza verificare se abbia o meno valore di un patto sul compenso

di Marina Crisafi

In presenza di un preventivo sottoscritto dal cliente, il giudice non può liquidare all'avvocato una cifra inferiore, senza neanche verificare se si sia in presenza di un patto sul compenso tale da precludere l'applicazione di qualsiasi altro criterio. E' quanto si ricava dall'ordinanza della seconda sezione civile della Cassazione n. 12105/2023 che ha dato ragione a un avvocato che si era visto liquidare un importo notevolmente più basso rispetto a quanto concordato con l'assistita per l'attività prestata in un procedimento di mediazione familiare e per la difesa in un successivo giudizio civile.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Sondrio riteneva congruo infatti l'importo già corrisposto dalla cliente per la fase stragiudiziale, non ravvisando motivi per reputare inadeguato il compenso versato per la successiva fase giudiziale, in relazione alla quale lo stesso tribunale aveva liquidato 2.225 euro.
Il legale non ci sta e adisce dunque la Cassazione denunciando la violazione degli articoli 115 e 166 c.p.c., per non aver il Tribunale dato conto delle ragioni per le quali "ha ritenuto congruo il compenso e privi di valenza probatoria i preventivi accettati e sottoscritti dalla parte, avendo immotivatamente riconosciuto un importo notevolmente inferiore a quello concordato dalle parti".
Non solo, a dire del ricorrente, la pronuncia aveva omesso di valutare la complessità dell'attività difensiva, le questioni esaminate anche in sede di mediazione familiare, la conflittualità delle parti e la gravosità dell'impegno profuso.

La decisione

Per la S.C., la tesi dell'avvocato è corretta. Nella fattispecie, si è infatti in presenza di un accordo sulle spettanze professionali sia per la fase stragiudiziale che per quella giudiziale, per importi significativamente superiori a quelli liquidati dal giudice. La pronuncia di merito, invece, osservano gli Ermellini, "si è limitata a ritenere congrue le somme versate, senza in alcun modo dar conto delle soluzioni accolte e delle ragioni per cui ha ritenuto di disattendere le deduzioni difensive della ricorrente già con riferimento all'attività stragiudiziale".
Analogamente, "per l'attività giudiziale, ha riconosciuto un importo pari alle spese processuali liquidate dal giudice, senza stabilire se il preventivo avesse o meno il valore di un patto sul compenso tale da precludere l'applicazione di ogni altro criterio" (art. 2333, comma 1, c.c.; cfr. Cass. 21235/2009; Cass. 17222/2011; Cass. 1900/2017; Cass. 14293/2018).
Nessuna indicazione, inoltre, emerge sul diverso criterio effettivamente adottato dal tribunale per la liquidazione: "la dichiarata congruità dei compensi – dunque - appare priva di reali giustificazioni, sorretta da una motivazione meramente apparente".
L'ordinanza, in definitiva, è cassata. La parola passa al giudice del rinvio.

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