Compensi avvocato: vanno distinti per ogni grado di giudizio
La Cassazione ribadisce che il giudice è tenuto a liquidare in modo distinto spese e onorari in relazione a ciascun grado di giudizio, perché solo così si possono controllare i criteri di calcolo adottati
Nel liquidare le spese e gli onorari all’avvocato, il giudice è tenuto a distinguere ogni grado di giudizio, poiché solo così le parti possono controllare i criteri di calcolo adottati e le ragioni che hanno condotto ad eventuali riduzioni, fermo restando che è precluso al giudicante liquidare somme “simboliche” non consone al decoro della professione. Questo quanto emerge dalla recente ordinanza della sesta sezione civile della Cassazione (n. 32363/2022).
La vicenda
La Suprema corte è stata interpellata da una contribuente per la Cassazione della sentenza della Ctr Campania in punto di spese processuali. La Commissione tributaria regionale infatti aveva accolto l’appello della donna proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate Riscossione e di un Comune avverso l’atto di intimazione di pagamento di una cartella Tarsu. Tuttavia, nell’accogliere il gravame aveva condannato l’Ader al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di merito, liquidandole immotivamente, anche rispetto alle note spese depositate, nella complessiva somma di 300 euro per il primo grado e di 350 per il secondo. Ciò, a dire della ricorrente, ben al di sotto dei minimi tariffari previsti dal Dm n. 55/2014, ledendo così il decoro professionale dell'avvocato ex articolo 2233, comma 2, del codice civile.
La decisione
Gli Ermellini danno ragione alla ricorrente, poiché nella specie, l’importo dei compensi professionali liquidati dalla Ctr era risultato certamente inferiore al totale del minimo tabellare, avuto riguardo ai parametri tariffari contemplati dal Dm n. 55/2014, tenuto conto del valore della causa e pur applicando la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell'affare.
In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al Dm n. 55/2014, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, colgono l’occasione di ricordare da piazza Cavour, «i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica standard del valore della prestazione professionale; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi, fermo restando che il superamento dei valori minimi stabiliti in forza delle percentuali di diminuzione incontra il limite dell'art. 2233, comma 2, c.c., il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione» (cfr., tra le altre, Cass. n. 9542/2020).
Non solo. La Corte riafferma il principio secondo cui «in tema di spese giudiziali, il giudice deve liquidare in modo distinto spese ed onorari in relazione a ciascun grado di giudizio, poiché solo tale specificazione consente alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e di conseguenza le ragioni per le quali sono state eventualmente ridotte le richieste presentate nelle note spese» (cfr. ex multis Cass. n. 20935/2017).
In conclusione, la Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza passando la parola al giudice del rinvio che dovrà provvedere, alla luce dei principi illustrati, alla liquidazione dei compensi professionali dei due gradi di merito, oltre alle spese vive come documentate, nonché a regolare le spese relative al giudizio di legittimità.