Compenso per copia privata, l’esenzione impossibile
Pochi lo sanno, ma quando compriamo uno smartphone, un notebook, un tablet, una chiavetta Usb paghiamo un balzello alla Siae.
Si chiama “compenso per copia privata” ed è stato introdotto all’epoca di Napster e degli iPod, quando lo scambio di file musicali attraverso piattaforme di file sharing era diventato un fenomeno di massa. Essendo impraticabile l’idea di chiedere agli utenti di pagare il copyright sui brani scaricati, venne deciso di farlo pagare ai produttori e importatori di apparecchi in grado di memorizzare e riprodurre i file scaricati, che dal file sharing illegale traevano un vantaggio indiretto vendendo un numero maggiore di quegli apparecchi. L’ammontare del compenso cresce al crescere della loro capacità di memoria.
Sono ormai passati 20 anni dal lancio di Napster, la musica si ascolta gratis su YouTube o pagando pochi euro a Spotify, Apple music, Amazon music o simili, ma il contributo Siae è rimasto. Anzi, è diventato più alto,perché le capacità di memoria dei telefonini, dei tablet, dei desktop e dei notebook sono superiori a quelle di 20 anni fa.
La Corte di giustizia Ue ha chiarito che, trattandosi di compenso per copia privata, non è dovuto nel caso di uso professionale, cioè quando gli apparecchi sono utilizzati da imprese, artigiani, liberi professionisti, Pa per l’esercizio della loro attività. Ma la Siae non prevedeva meccanismi di esenzione per gli usi professionali a favore dei produttori e importatori di apparecchi, consentendo di chiedere il rimborso solo agli acquirenti finali. Occorreva però compilare in tempi brevi una complicata modulistica quasi introvabile nel sito Siae, fornendo decine di dati e allegati, il tutto per avere indietro cinque euro (per uno smartphone).
È evidente che non lo faceva nessuno e i compensi indebitamente percepiti costituivano una larga fetta del totale di oltre 150 milioni di euro incassati da Siae (dati 2016).
È così accaduto che un largo gruppo di produttori e importatori di dispositivi, associazioni di categoria e di consumatori abbiano promosso un giudizio volto a far accertare l’illegittimità delle norme in tema di compensi per copia privata. In quel giudizio, il Consiglio di Stato si è rivolto alla Corte di giustizia per sapere se le norme italiane erano in contrasto con le regole europee. E con la sentenza C-110/15 del 22 settembre 2015 la Corte di Lussemburgo ha detto che la normativa italiana era illegittima e andava cambiata, per più ragioni fra cui soprattutto l’impossibilità per produttori e importatori di chiedere l’esenzione in anticipo per le vendite professionali e il fatto che le procedure di rimborso per gli utilizzatori finali fossero complicate e defatiganti, stigmatizzando la posizione di conflitto della Siae nella procedura.
Nonostante l’opposizione stessa, il Consiglio di Stato, chiamato a dare applicazione ai principi dettati dalla Corte di giustizia, con sentenza 4938/2017 ha stabilito che la normativa italiana era illegittima per le ragioni indicate dai giudici del Lussemburgo.
Successivamente, sulla Gazzetta ufficiale del 2 agosto è stato pubblicato il decreto 18 giugno 2019 del ministero per i Beni e le Attività cultirali in base al quale di regola il compenso deve essere comunque pagato. Si prevede un sistema di rimborso per l’utente finale tanto complicato e disincentivante quanto quello precedente e si stabilisce che produttori e importatori hanno diritto all’esenzione solo per apparecchi palesemente non idonei a essere usati per fare copie private di file coperti da copyright, come i dispositivi medici o le consolle per videogiochi. Per tutti gli altri usi professionali, gli stessi soggetti dovrebbero avanzare un’istanza, dimostrando che l’apparecchio è destinato a un utente professionale, alla Siae, che dovrebbe vagliare se vi siano i presupposti per l’esenzione.
Al di là di ogni considerazione sulla legittimità del fatto che sia lo stesso percettore del compenso a sindacare l’ammissibilità dell’esenzione, resta il fatto che di norma è impossibile per il produttore o l’importatore sapere in anticipo se il dispositivo da lui venduto a un distributore sarà rivenduto da quest’ultimo a un utente professionale o privato. Cosicché i compensi continuerebbero a essere percepiti anche per gli usi professionali, senza concreta possibilità di esenzione anticipata: proprio quello che la Corte Ue e il Consiglio di Stato hanno ritenuto illegittimo. La lunga saga della discussione sulla coerenza ai principi europei delle norme italiane sui compensi per copia privata appare ancora lontana dall’essersi conclusa e nuovi capitoli si aggiungeranno nei tempi a venire.