Concordato con continuità sempre rilevante penalmente
Il reato previsto in materia di concordato preventivo e accordo di ristrutturazione del debito vale anche nel caso di concordato con continuità aziendale. Lo chiarisce la Corte di cassazione con la sentenza n. 39517 della Quinta sezione penale. La pronuncia sterilizza così gli effetti delle modifiche effettuate nel 2012 sulla legge fallimentare con l’innesto dell’articolo 186 bis.
Una modifica che, nella interpretazione della Cassazione, va letta correttamente come la semplice previsione in dettaglio di benefici speciali collegati all’istituto del concordato con continuità aziendale. Fattispecie peraltro quest’ultima già prevista tra le varie articolazioni dell’istituto del concordato preventivo.
È vero che la norma penale non fa un esplicito richiamo al concordato con continuità aziendale, ma non si tratta dell’espressione della volontà del legislatore di procedere a una sorta di esenzione penale per condotte anche gravi consumate prima o attraverso la procedura. Sarebbe infatti del tutto «irragionevole ritagliare una pretesa area di impunità in riferimento a condotte distrattive pose in essere prima dell’ammissione o nel corso del concordato preventivo, in qualunque declinazione l’istituto operi».
E a una diversa conclusione non si può arrivare neppure se si intende valorizzare l’elemento della continuità visto che la funzione di conservazione del patrimonio d’impresa rappresenta l’obiettivo cui tende l’istituto, mentre, invece, la ratio della misura penale prevista dall’articolo 236 della legge fallimentare si basa sull’avere provocato, attraverso operazioni dolose di distrazione, lo stato di crisi che rappresenta il presupposto di ammissione alla procedura, oltre a rappresentare un concreto pericolo per i creditori. Irrilevante di conseguenza, sul punto, la natura conservativa e non liquidatoria dell’istituto.
Respinta quindi la tesi della difesa che invocava un diverso regime penale per l’ipotesi di concordato in continuità. Esiste sì una distinzione, ma è valida solo sul piano civilistico per assicurare la prosecuzone dell’attività imprenditoriale.
Corte di cassazione, Quinta sezione penale, sentenza 3 settembre 2018 n. 39517