Responsabilità

Condannata al pagamento delle spese di lite l'assicurazione che non ha formulato offerta stragiudiziale

Nota a sentenza n. 1238/2020 del 14 dicembre 2020 del Tribunale di Pavia, in funzione di Giudice d'Appello.

di Pier Antonio Rossetti e Martina Giannini*

1) Il caso concreto


Nel caso in oggetto, la compagnia di assicurazioni, parzialmente soccombente in primo grado, ha adito il Tribunale di Pavia per la riforma della decisione del Giudice di Pace anche nella parte in cui era stata condannata al pagamento integrale delle spese di lite, nonostante la forte riduzione del danno liquidato in sentenza, rispetto alla domanda iniziale dell'attore.
A seguito della decisione del giudice di primo grado, la compagnia assicurativa ha convenuto in giudizio il danneggiato per i seguenti motivi:

a) La violazione dell'art. 132 cpc e la nullità della sentenza di prime cure per omessa e/o solo apparente motivazione;

b) violazione degli artt. 115 e 116 cpc per malgoverno del materiale istruttorio e susseguente errata attribuzione di responsabilità conducente del veicolo tamponante nella verificazione del sinistro;

c) violazione dell'art. 139 cda, per errato riconoscimento del danno "morale";

d) violazione degli art. 91 e 92 cpc per errata applicazione del criterio della soccombenza da parte del giudice di prime cure, stante la sproporzione tra il chiesto e il riconosciuto.

2) I principi generali sulla condanna alle spese di lite

Prima di entrare nel merito, occorre riaffermare i principi giurisprudenziali generali sul tema, alla luce delle recenti pronunce.

Come noto, l'art. 91 c.p.c. dispone che "Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa": la condanna alle spese della parte soccombente (e non la compensazione tra le parti) costituisce la regola.

Tale principio si applica in caso di "soccombenza virtuale", come per esempio nel caso in cui non si giunge a sentenza per cessazione della materia del contendere.

"Nel caso in cui il giudice, ricorrendone i presupposti, dia atto della intervenuta cessazione della materia del contendere in corso di giudizio, non può automaticamente discenderne la compensazione delle spese di giudizio, dovendo comunque trovare applicazione il criterio della soccombenza virtuale" (Cass. 19 novembre 2020 n. 26352).

Secondo la Corte di Cassazione, il principio della soccombenza deve essere inteso nel senso che "soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, mentre qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale della parti debba essere condannata e se e in qual misura debba farsi luogo a compensazione." (Cass. 3 ottobre 2020, n. 24724)

La "soccombenza reciproca" costituisce infatti una delle eccezioni al principio di portata generale, sulla base di quanto disposto dall'art. 92 c.p.c.

Di fatti, il rigetto di parte della domanda, ovvero di alcune delle domande proposte dalla stessa parte, configura l'ipotesi di parziale soccombenza reciproca, che giustifica la compensazione totale o parziale delle spese di lite, in applicazione del principio di causalità, in forza del quale sono imputabili a ciascuna parte gli oneri processuali causati all'altra per aver resistito a pretese fondate, ovvero per aver avanzato pretese infondate (sul punto, tra le tante: Cass. 3 ottobre 2020, n. 24724; Cass. 21 gennaio 2020, n. 1269; Cass. 14 ottobre 2016, n. 20838; Cass. 9 settembre 2019, n. 22461).

Come più volte affermato dalla Suprema Corte, "rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell'ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell'ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione." (Cass. 10 settembre 2020, n. 18709)

E' evidente l'ampio potere discrezionale che viene concesso al giudice. Di fatti, l'art. 92 comma 1 c.p.c. sancisce la possibilità che il giudice ha di escludere le spese qualora ritenga che siano eccessive e/o superflue, oppure quando vi sia soccombenza reciproca, oppure ancora una violazione del dovere di lealtà di all'art. 88 c.p.c.

3) La decisione del Tribunale di Pavia, in funzione di Giudice dell'appello

Il caso de quo rappresenta un'eccezione al suddetto principio di carattere generale, in quanto si configura una soccombenza reciproca, quanto meno sul quantum.
Infatti, il giudice di primo grado aveva già ridotto sensibilmente la somma richiesta dall'attore. In secondo grado, il Tribunale ha ridotto ulteriormente la somma liquidata, sebbene in misura non rilevante, negando la liquidazione del danno morale, in quanto ritenuto non provato.

Per tale motivo, il giudice di secondo grado ha ritenuto rilevante, ai fini della decisione sulle spese di lite, il comportamento tenuto dalla compagnia assicurativa. In altri termini, l'assenza di un'offerta stragiudiziale nella fase di trattativa da parte dell'assicurazione ha assunto un'importanza decisiva sul punto.

Si ricordi che l'art. 148 del Codice delle Assicurazioni impone alla compagnia l'obbligo di effettuare un'offerta formale di risarcimento, nei seguenti termini: "Entro sessanta giorni dalla ricezione di tale documentazione, l'impresa di assicurazione formula al danneggiato congrua e motivata offerta per il risarcimento, ovvero comunica specificatamente i motivi per i quali non ritiene di fare offerta". Come noto, il termine per tale offerta risulta differente in caso di lesioni personali, oppure qualora si applichi la procedura di risarcimento diretto di cui all'art. 149 C.d.A.

Nel caso di specie, il giudice di secondo grado ha totalmente confermato la condanna dell'assicurazione all'integrale pagamento delle spese legali del primo grado di giudizio.

Per quanto riguarda il secondo grado, ha disposto una minima compensazione delle spese di secondo grado nella misura di solo 1/5, condannando l'assicurazione a pagare i 4/5 poiché " l'appellante, risultata soccombente sull'an, non risulta avere formulato prima dell'avvio della causa, sia pure solo pro bono pacis, un'offerta, la cui proposizione avrebbe potuto essere giustificata quantomeno alla luce del modesto valore della controversia".

Il comportamento della compagnia assicurativa è quindi stato sanzionato per la mancanza di un'offerta stragiudiziale anche pro bono pacis, e visto il modesto valore della causa.

Il giudice dell'appello ha così deciso di:
"III. condannare l'appellante (la compagnia assicurativa) alla rifusione in favore dell'appellato (l'assicurato) delle spese di lite relative al giudizio di primo grado;
(…) V. condannare l'appellante alla rifusione in favore dell'appellato dei quattro quinti delle spese di lite relative a questo grado di giudizio (giudizio di appello
)".

* a cura dell' Avv. Pier Antonio Rossetti e della Dott.ssa Martina Giannini, SLR | Studio Legale Rossetti

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