Condizioni indispensabili per il diritto di critica: verità, interesse alla notizia e continenza
In tema di diffamazione a mezzo stampa, condizioni indispensabili per il corretto esercizio del diritto di critica sono: la verità, l'interesse alla notizia e la continenza. In particolare - sottolineano i giudici della Suprema corte con la sentenza n. 11409 del 2015 - e con riferimento al profilo della verità del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni di critica, vale osservare che non può essere consentito attribuire a un soggetto specifici comportamenti dallo stesso mai tenuti, per poi esporlo a critica come se quei fatti fossero effettivamente a lui riferibili. Mentre, con riguardo al requisito della continenza, il relativo limite deve ritenersi superato quando le espressioni adottate si risolvano nella denigrazione della persona del destinatario in quanto tale e, risultando gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione del soggetto criticato, che prescinda dalla vicenda concreta.
I precedenti orientamenti - Anche di recente è stato ancora più chiaramente affermato che, in tema di diffamazione, condizioni indispensabili per il corretto esercizio del diritto di critica sono:
a) la verità del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni di critica, in quanto - fermo restando che la realtà può essere percepita in modo differente e che due narrazioni dello stesso fatto possono perciò stesso rivelare divergenze anche marcate - non può essere consentito attribuire a un soggetto specifici comportamenti dallo stesso non tenuti o espressioni mai pronunciate, per poi esporlo a critica come se quei fatti o quelle espressioni fossero effettivamente a lui riferibili; mentre, qualora il fatto risulti obiettivamente falso, la possibilità di applicare la scriminante, sotto il profilo putativo ai sensi dell'articolo 59 del Cp, presuppone che il giornalista abbia assolto all'onere di controllare accuratamente la notizia risalendo alla fonte originaria e che l'errore circa la verità del fatto non costituisca espressione di negligenza, imperizia o, comunque, di colpa non scusabile, come nel caso in cui il fatto non sia stato sottoposto alle opportune verifiche e ai doverosi controlli;
b) l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti;
c) la continenza, che deve ritenersi superata quando le espressioni adottate risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto e della sua critica: la verifica circa l'adeguatezza del linguaggio alle esigenze del diritto del giornalista alla cronaca e alla critica impone l'accertamento della verità del fatto riportato e la proporzionalità dei termini adoperati in rapporto all'esigenza di evidenziare la gravità dell'accaduto, quando questo presenti oggettivi profili di interesse pubblico; con la precisazione che, pur essendo consentita una polemica anche intensa su temi di rilievo sociale e politico, esula comunque dalla critica il gratuito attacco morale alla persona (sezione V, 26 giugno 2013, Maniaci).
Nella fattispecie esaminata, la Corte si è anche soffermata sulla questione della configurabilità della diffamazione commessa in danno di un soggetto collettivo, e non necessariamente di una persona fisica.
Corte di cassazione – Sezione V penale – Sentenza 18 marzo 2015 n. 11409