Condominio, crollo del tetto: per l'intervento abusivo scatta la riduzione in pristino e non la ricostruzione
La Cassazione, sentenza n. 2126 depositata oggi, ha accolto, sotto questo profilo, il ricorso di due condomini
A seguito del crollo di un tetto a falde, il condomino dell'ultimo piano, nonché proprietario dei sottotetti, che nel rifacimento a sue spese abbia ricavato tre terrazzini in corrispondenza delle mansarde realizzate, può essere condannato alla riduzione in pristino ma non "a rifare il tetto". È quanto ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 2126 depositata oggi, accogliendo parzialmente il ricorso dei condomini.
Secondo la Corte di appello di Napoli, seppur i condomini convenuti in giudizio "non erano obbligati a rifare il tetto a loro cura e spese, avrebbero, tuttavia, dovuto munirsi dell'autorizzazione assembleare per trasformare lo stesso nei tre terrazzini". In difetto di autorizzazione, infatti, "non soltanto non potevano conseguire il rimborso delle spese sostenute, ma dovevano pure ‘ricondurre la sagoma del tetto alla sua originaria conformazione". I giudici di secondo grado, inoltre, hanno ritenuto antiestetica l'apposizione di "tegole marsigliesi", pregiudizievoli per il decoro architettonico dell'edificio e ne hanno perciò ordinato la sostituzione con tegole del tipo "piani e contropiani".
La Suprema corte ricorda che quando l'edificio sia perito per meno di tre quarti del suo valore, la mancanza della delibera assembleare di ricostruzione delle parti comuni (articolo 1128 Cc) non impedisce ai singoli condomini di ricostruire le loro unità immobiliari di proprietà esclusiva parzialmente perite e, conseguentemente, le parti comuni necessarie a ripristinare l'esistenza ed il godimento di esse. Non si può infatti negare, argomenta la decisione, a chi aveva il diritto di mantenere la sua costruzione sul suolo il potere di riedificarla ai sensi dell'articolo 1102 Cc, "salvi il rispetto delle caratteristiche statico-tecniche preesistenti, in maniera da non impedire agli altri condomini di usare parimenti delle parti comuni secondo il proprio persistente diritto di condominio, e il divieto di attuare innovazioni, per le quali è indispensabile a delibera assembleare ai sensi degli artt. 1120 e 1136 c.c.".
Conseguentemente, prosegue la Corte, siccome i condomini ricorrenti, nell'eseguire la ristrutturazione dei sottotetti di loro proprietà, avevano ricostruito altresì parte del tetto condominiale andato distrutto, realizzando tre terrazzi in corrispondenza dei medesimi sottotetti, "va riconosciuto il diritto dei restanti condomini di opporsi a quelle opere edilizie che, ripristinando con difformità o varianti le precedenti strutture edilizie, portino concreto pregiudizio ai loro diritti di proprietà esclusiva o condominiale".
Dunque, prosegue la sentenza, "l'acclarata inadeguatezza delle opere eseguite, al fine di salvaguardare la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto, e il ravvisato pregiudizio arrecato al decoro architettonico convalidano la fondatezza della pretesa di natura reale del condominio, basata sull'art. 1102 c.c., avente, tuttavia, per fine il mero ripristino della cosa comune illegittimamente alterata dai ricorrenti principali", ed in questo passaggio la Cassazione ravvisa la fondatezza delle censure dei condomini.
"Ne deriva - prosegue - che la conseguente condanna giudiziale deve consistere unicamente nella eliminazione della situazione provocata dall'illecito utilizzo del bene condominiale e nella riproduzione della situazione dei luoghi modificata o alterata, ovvero anche nell'esecuzione di un quid novi, ma solo qualora il rifacimento pure e semplice sia inidoneo a conseguire il ripristino dello status quo ante, avuto riguardo alla utilità recata dalla res prima della contestata modificazione".
Al contrario, la Corte di appello ha erroneamente condannato i condomini a "rifare il tetto in corrispondenza dei tre terrazzini in modo da renderlo conforme alla sagoma originaria" e di sostituire le "tegole marsigliesi" con tegole del tipo "piani e contropiani", cosi eccedendo rispetto al ricordato limite della condanna alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi abusivamente modificati".