Penale

Condominio, “disagi” e “fastidi” non fanno scattare il reato di stalking

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 39675 depositata oggi, chiarendo che serve un specifico stato di “ansia grave”

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di Francesco Machina Grifeo

Non scatta il reato di atti persecutori per un insieme di condotte descritte come “idonee a cagionare una continua fonte di disturbo, disagio, fastidio”. Serve infatti “quello specifico stato d’ansia grave, anche sotto il profilo della idoneità a compromettere la libertà psichica della persona offesa”, che la norma incriminatrice esplicitamente richiede. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 39675 depositata oggi, accogliendo con rinvio il ricorso di una donna condannata per stalking, ai danni di una coppia, dalla Corte di appello di Roma (il giudizio si era a sua volta si era già svolto in sede di rinvio dalla Suprema corte) nell’ambito di una situazione di alta conflittualità all’interno di un condominio di Salerno.

La fattispecie regolata dall’art. 612-bis cod. pen., si legge nella decisione, ai fini della configurazione degli atti persecutori, prevede la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente dalla stessa contemplati consistenti nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o nel perdurante stato di ansia o di paura o, infine, nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto. In questo senso, prosegue, il delitto di atti persecutori si configura “solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all’art. 660 cod. pen. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato”.

La prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve dunque essere ancorata “ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente”.

Alla luce di questi principi, prosegue la Cassazione, va rilevata “la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento quanto all’individuato grave stato di ansia cagionato alle vittime”. Una condizione contestata dalla difesa anche sulla base della circostanza emersa documentalmente dell’esistenza di “numerose reciproche iniziative intraprese in sede giudiziaria anche civile”. Un dato sul quale il Giudice del rinvio non si è soffermato compiutamente.

Su tale punto infatti la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “persino la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori”; tuttavia, in tali ipotesi “incombe sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita”.

Insufficiente e manifestamente illogica, per la Cassazione, si rivela la motivazione anche “relativamente alla ritenuta sussistenza del cambio di abitudini di vita da parte del nucleo familiare delle parti civili”. Che viene per un verso descritto “quale conseguenza coerente con il contesto”, ma contemporaneamente la condotta viene indicata “come epilogo al quale, però, avevano contribuito anche considerazioni diverse da parte delle persone offese”. In definitiva, il trasferimento in altra abitazione, sempre a Salerno, secondo la motivazione del Giudice del rinvio, ha ragioni diverse rispetto al comportamento reiterato nel tempo attuato dell’imputata.

Né, ancora, la sentenza di secondo grado si sofferma valorizzando gli ulteriori profili attinenti al mutamento delle abitudini di vita delle persone offese. Alcuna compiuta ed esauriente motivazione, infine, si riscontra quanto alla sussistenza dell’evento di danno in relazione all’altra parte civile.

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