Condotte risarcitorie al nodo della congruità
Risale a qualche settimana la decisione di un Gup, che ha ritenuto congrua un’offerta risarcitoria modesta, che la persona offesa non aveva accettato ed ha, perciò, dichiarato estinto il reato di stalking, del quale l’imputato avrebbe dovuto rispondere, applicando l’istituto, previsto dal nuovo articolo 162 ter del Codice penale («estinzione del reato per condotte riparatorie») introdotto dalla legge 103/2017.
Lo scalpore che la notizia ha suscitato, però, non deve mettere in discussione l’utilità di una norma, il cui evidente scopo deflattivo si coniuga con la volontà di bilanciare la comprensibile aspettativa risarcitoria delle persone offese e la necessità che essa non assuma fini speculativi, paralizzando la definizione del processo.
Se si procede a querela di parte, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato abbia integralmente risarcito il danno ed eliminato, se possibile, le conseguenze dannose o pericolose della sua condotta, anche se l’offerta sia stata rifiutata dall’interessato, ma ritenuta congrua dal giudice.
Tale soluzione può essere adottata fino all’apertura del dibattimento, non è chiaro se persino all’esito delle indagini preliminari, visto che la norma non lo prevede espressamente, probabilmente per le obiettive difficoltà di sentire la persona offesa, se non fissando un’apposita udienza in camera di consiglio.
Se le parti raggiungono un accordo, nessun problema si frappone all’esito processuale previsto, mentre non poche sono le questioni da risolvere, quando l’estinzione del reato dipenda dalla valutazione di congruità del giudice.
L’imputato deve formulare offerta reale, ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del Codice civile, una procedura tutt’altro che semplice e che può essere ancor più difficoltosa, se l’offerta non viene accettata e si debba, perciò, ricorrere al deposito, che spiega i suoi effetti solo quando sia stato ritenuto valido con sentenza passata in giudicato.
Si potrà probabilmente ovviare, effettuando l’offerta reale risarcitoria “banco iudicis”, cioè depositando in udienza apposito assegno circolare, come già previsto, a tutela dell’imputato, in casi in cui particolari effetti positivi dipendano dalla effettiva messa disposizione dell’avente diritto della somma risarcitoria, ad esempio per il riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62, n. 6 del Codice penale.
Più complessa è la devoluzione al giudice della valutazione di congruità, spesso in assenza di qualunque parametro obiettivo o tabella di riferimento.
Se il problema, infatti, è meno stringente in relazione ad alcuni reati, ad esempio le lesioni semplici, per le quali è possibile usare anche le tabelle milanesi, esso diventa più complicato in relazione ad altri reati, perseguibili a querela, primo fra tutti la diffamazione, specie se a mezzo stampa o con altri mezzi di pubblicità, in presenza dei quali gli indici di quantificazione, pure individuati dalla giurisprudenza, non garantiscono risultati omogenei.
La vexata quaestio del risarcimento a carico di giornalisti ed editori ha formato oggetto di attenzione, anche da parte della Corte europea, che ne ha rilevato l’efficacia deterrente sulla circolazione delle informazioni, essendo più facile che un giornalista abbandoni un caso, se rischia indennizzi importanti, piuttosto che per la paura del carcere. Aver svincolato l’estinzione del reato dai desiderata delle persone offese, spesso incapaci di una valutazione obiettiva delle conseguenze patite, è un passo avanti notevole, cui dovrebbe affiancarsi una equa considerazione delle caratteristiche della persona offesa, compresa la professione svolta, evitando così valutazioni esorbitanti, che possano apparire un ingiustificato privilegio.
Per la quantificazione, il giusto rilievo potrà esser dato alla pubblicazione di una rettifica, solo se, per modalità e contenuto, sarà visibile, fungendo così da risarcimento in forma specifica e non se, seminascosta, risulterà quasi inutile; all’intensità del dolo, distinguendo fra l’eventuale errore, spesso incolpevole, del giornalista e la pervicace volontà di offendere, magari con una mirata e falsa campagna stampa; alle conseguenze, effettivamente derivate dal reato, tenendole distinte da quelle, artificiosamente costruite, mediante il ricorso a consulenze e testimonianze inaffidabili; alla identificabilità del diffamato, spesso neppure citato o irriconoscibile, se non dai parenti più stretti e alla sua notorietà che, garantisce il libero accesso ai mezzi di informazione, dunque una replica più efficace di una rettifica e, quindi, la riduzione del danno.
Una soluzione auspicabile per chiudere rapidamente centinaia di processi, evitando, che diventi una lotteria, il cui esito rimanga affidato a una discrezionalità che, senza parametri certi e, soprattutto, la sensibilità necessaria, potrebbe diventare arbitrio, non importa a favore di quale parte processuale.