Congetture e sospetti sono insufficienti a giustificare la condanna
Per un furto non bastano un precedente analogo e la localizzaione dell'utenza telefonica vicino al luogo del reato
Il "sospetto" è una nozione che oscilla tra due estremi semantici, ovvero tra il significato di fenomeno soggettivo, congettura, quindi di ipotesi senza prove, o meglio, alla ricerca di prove, ed il significato di traccia equivoca, e quindi debole. A ben vedere il concetto connota gli elementi suscettibili di assecondare distinte ed alternative ipotesi, anche contrapposte, nella spiegazione dei fatti oggetto di prova. Al contrario, gli "indizi" sono gli elementi probatori raggiunti attraverso un ragionamento deduttivo, che partendo da un fatto noto, l'indizio appunto, conduce ad un fatto ignoto in virtù dell'applicazione di regole scientifiche, per ciò stesso razionali, ovvero di massime di consolidata esperienza. Ebbene sulla base di queste argomentazioni logico-giuridiche, la suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 28559 depositata il 14 ottobre scorso ha giudicato che la Corte territoriale, peraltro parzialmente riformando la sentenza di primo grado del Tribunale meneghino, non ha fatto buon governo delle regole interpretative e valutative fornite al suo plesso giurisdizionale dal codice penale di rito, impropriamente fondando l'affermazione di responsabilità di un imputato di reati di furto pluriaggravato su un unico indizio, la "localizzazione" della sua utenza telefonica presso le celle telefoniche ubicate in paesi limitrofi al preciso luogo del furto; ma anche e su tutto – si badi – per il fatto che un anno prima era stato commesso dallo stesso imputato un reato analogo e con le medesime modalità, la cosiddetta tecnica dell' "ariete". In altre parole la massima Corte di piazza Cavour ha censurato una condanna fondata non su un "indizio" – un fatto noto e certo dal quale desumere in via inferenziale il fatto ignoto - bensì su una mera "supposizione" nella sua dimensione più fiacca di mero "sospetto", insuscettibile di per sé di convalidare la prova logica e per ciò stesso legittima, necessaria ad una giusta affermazione di responsabilità secondo diritto, e non solo.
Il "ciò che più spesso accade" e la verifica empirica
Il sindacato di legittimità della Corte di Cassazione sulla gravità, precisione e concordanza della prova indiziaria è limitato alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità e non fondata su base meramente congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati. In materia di prova indiziaria, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste, può tuttavia avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate su "ciò che più spesso accade", ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilità.
Ipotesi e verosimiglianza
Va altresì evidenziato che gli indizi a fini di prova si differenziano dalle mere congetture perché sono costituiti da fatti ontologicamente certi che, collegati tra loro, sono suscettibili di una ben determinata interpretazione e devono corrispondere a dati di fatto certi e, quindi, non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza. Gli indizi inoltre, nel rispetto della disciplina processuale penale, devono essere: "gravi" ossia in grado di esprimere elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto; "precisi" cioè non equivoci; e "concordanti" cioè convergenti verso l'identico risultato. Requisiti tutti che devono rivestire il carattere della concorrenza, nel senso che in mancanza anche di uno solo di essi gli indizi non possono assurgere al rango di prova idonea a fondare la responsabilità penale.
I momenti della valutazione
Il procedimento di valutazione degli indizi si articola in due distinti momenti: il primo diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione di ciascuno di essi, isolatamente considerato, il secondo costituito dall'esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità. Il giudice di legittimità deve quindi verificare l'esatta applicazione dei criteri legali e la corretta applicazione delle regole della logica nell'interpretazione dei risultati probatori. Ebbene nel caso affrontato dalla Corte della nomofilachia, la Corte d'Appello non ha operato una interpretazione e una stima corrette e rispettose del paradigma offerto dalla normativa processuale penale avendo posto a fondamento dell'affermazione di responsabilità un unico indizio, la "localizzazione" dell'utenza dell'imputato, in assenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. A ben vedere il coinvolgimento dell'imputato in un furto commesso un anno prima con "le stesse modalità", razionalmente, non può essere ritenuto un vero e proprio indizio, quale fatto noto e certo dal quale desumere, in via deduttiva e conseguente, il fatto ignoto, bensì una mera "congettura", nella sua proporzione più "fragile" di mero sospetto, insuscettibile di per sé di corroborare la prova logica necessaria ad un'affermazione di responsabilità.