Consensus facit filium
Nota a Trib. Santa Maria Capua Vetere, sez. I, ord. 25 novembre 2020; Trib. Santa Maria Capua Vetere, sez. I, ord. 27 gennaio 2021
Le due ordinanze del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere : ord. 25 novembre 2020 e ord. 27 gennaio 2021 (una delle quali ha avuto nelle ultime due settimane un grande eco mediatico) ruotano intorno al delicato tema del divieto di revoca del consenso prestato all'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), una volta intervenuta la fecondazione dell'ovulo.
La questione è affrontata dall'art. 6, comma 3, della legge 19 febbraio 2004 n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), e ribadito dalle Linee guida redatte ai sensi dell'art. 7 (Decr. Min. Salute 11 aprile 2008, Linee guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, sub art. 14, commi 3° e 8°), le quali tengono a precisare che "la donna ha sempre il diritto ad ottenere il trasferimento degli embrioni crioconservati" e già in precedenza al vaglio del giudice delle leggi con declaratoria di manifesta inammissibilità della prospettata questione di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza nel giudizio a quo (cfr. Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151).
L'ordinanza dell'11 ottobre 2020 è stata emessa in composizione monocratica, all'esito di un procedimento introdotto ai sensi dell'art. 700 c.p.c., e la successiva ordinanza 27 gennaio 2021, resa in composizione collegiale, è stata emessa su reclamo proposto avverso la prima decisione. In entrambi i casi la vicenda coinvolgeva una coppia, in fase di separazione che aveva deciso di fare ricorso alla tecnica della PMA, e più esattamente alla fecondazione omologa in vitro con crioconservazione dell'embrione fecondato e successivo impianto nell'utero materno.
I provvedimenti campani, nell'asserire l'irrevocabilità del consenso prestato ai sensi dell'art. 6, comma 3 della Legge 40/2004, interpretano la norma in combinato disposto con gli articoli 8 e 9 della stessa legge: dunque, il resistente dissenziente, intervenuta la fecondazione non può revocare il consenso e per effetto del consenso validamente prestato prima della stessa avrà i diritti e i doveri connessi alla paternità: a cascata ne discende che per effetto dell'art. 8 della Legge 40 il nato da procreazione assistita, sia che discenda biologicamente dai genitori o meno, ha lo stato di figlio nato nel matrimonio, se procreato da una coppia di coniugi, e di figlio riconosciuto, se procreato da una coppia di conviventi e per effetto dell'art. 9 per i concepiti con donazione di gameti maschili o femminili, valgono le medesime regole dettate per l'attribuzione dello status .
L'art. 6 della Legge 40/2004. Il primo comma della norma prevede che, prima del ricorso alla tecnica riproduttiva e in ogni fase di applicazione, il medico debba informare dettagliatamente la coppia sui possibili metodi, sui problemi bioetici, sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici, che possono derivare dall'applicazione della tecnica stessa, nonché sulle probabilità di successo e sui rischi, cui sono esposti.
Il medico deve informare sulle conseguenze giuridiche per la donna, per l'uomo e per il nascituro: (cfr. il comma 1 e 5 della norma). Se è certo che il contenuto di tale informazione altro non è che quanto dispongono gli artt. 8 e 9 sullo status del nascituro (al cui commento si rimanda), è pur vero che la duplice menzione si riferisce alla circostanza che il medico ha l'obbligo di informare i richiedenti - dettagliatamente ma anche in modo informale - fin dal primo incontro (comma 1), mentre "al momento di accedere alle tecniche" le stesse informazioni "devono essere esplicitate con chiarezza" e, soprattutto, richiedono una espressa sottoscrizione (comma 5).
La disciplina dettata per la revoca del consenso prestato e contenuta nella parte finale del comma 3 dell'art. 6 è, senza dubbio, una delle più problematiche di tutta la legge. L'ultimo capoverso del comma in parola espressamente dispone: "La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell'ovulo."
La norma sancisce l'irrevocabilità del consenso ad accedere alle tecniche di fecondazione assistita dal momento della fecondazione dell'ovulo, con riferimento alla posizione della donna cui deve essere praticato l'impianto. E qui giova una precisazione in ordine alle tecniche riproduttive in vivo e quelle tecniche in vitro: nelle prime, l'incontro tra i gameti - e quindi la fecondazione dell'ovulo - avviene nel grembo della donna; nelle seconde, tale incontro avviene in provetta. Dunque, il problema della revoca del consenso non può sorgere in caso di fecondazione intra-uterina, perché interverrebbe a gravidanza già iniziata (Moretti, La procreazione medicalmente assistita, in Tratt. Bonilini, Cattaneo, III, Torino, 2a ed., 2007, 291).
Nel caso di fecondazione in vitro, la regola della irrevocabilità del consenso rivela tutta la sua importanza perché si stabilisce che una volta iniziata la generazione, la volontà di coloro che a tale generazione hanno dato vita non ha alcun rilievo (Giacobbe, Procreazione, filiazione e famiglia nell'ordinamento giuridico italiano, in DFP, 2006, 764).
Non solo. Determinare il termine della revocabilità del consenso al momento della fecondazione dell'ovulo, ossia all'incontro dei gameti in provetta, significa dare valore di soggetto all'embrione così formato (Martini, Riflessioni sulla soggettività e capacità del concepito dopo l'entrata in vigore della legge 19 febbraio 2004, n. 40 "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita", in VN, 2005, 1164).
La legge tace sulle conseguenze di una revoca del consenso manifestata, dopo che la fecondazione dell'ovulo sia già avvenuta. In altri termini, nulla si dispone quando vi è una manifestazione contraria all'impianto da parte di uno dei membri della coppia.
Nessun dubbio pare sorgere – e le due ordinanze ne sono una chiara espressione - qualora sia l'uomo a revocare il consenso a suo tempo prestato: è opinione comune, e condivisibile, che l'eventuale revoca da parte dell'uomo non possa certo impedire l'impianto degli embrioni (Auletta, Il diritto di famiglia, Torino, 9a ed., 2008, 294).
Più complessa è certamente l'ipotesi in cui sia la donna a rinunciare all'impianto. Due sono, peraltro, le principali argomentazioni che spingono a ritenere irragionevole quello che è sostanzialmente, un impianto coatto: innanzitutto, si tratterebbe di una forma di trattamento sanitario obbligatorio, in contrasto con l'art. 32 Cost. e anche con l'art. 13 Cost., che garantisce l'inviolabilità della libertà personale; pare difficile negare alla sola donna il potere decisionale sulla sorte degli embrioni, posto che la legge sull'interruzione della gravidanza affida il potere di scelta solo a lei.
Stando all'attuale assetto normativo, dunque, è solo il medico che ha la facoltà di non portare a termine il ciclo di procreazione medicalmente assistita, in virtù di una determinazione che può intervenire anche dopo la fase di fecondazione dell'ovulo e prima di quella dell'impianto degli embrioni. Non è invece consentito alla paziente fare la stessa scelta: la tutela dell'aspirante madre sembra pertanto esclusivamente affidata al sanitario che realizza il trattamento medico, unico soggetto legittimato a sospendere l'attività di PMA in un momento successivo alla fase di fecondazione dell'ovocita.
*a cura dell' Avv. Valeria Cianciolo Foro di BOLOGNA