Consulta: equa riparazione anche senza l'istanza di accelerazione
Per la Corte costituzionale, sentenza n. 142 di oggi, l'obbligo di presentazione dell'istanza, a pena di inammissibilità, due mesi prima del superamento dei termini in Cassazione è illegittima
È illegittima la norma che prevede l'inammissibilità della domanda di equa riparazione, in favore di chi abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata di un processo, nel caso di mancato deposito nei giudizi davanti alla Corte di cassazione di un'istanza di accelerazione almeno due mesi prima che siano trascorsi i termini massimi previsti dalla legge (un anno nel giudizio di legittimità). Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 142 depositata oggi.
La Consulta, interrogata dalla Corte di appello di Firenze a seguito dell'opposizione alla domanda da parte del Ministero della giustizia alla domanda di equa riparazione avanzata nell'ottobre 2019 da un gruppo di persone, in relazione alla durata non ragionevole della fase di legittimità di un precedente giudizio di equa riparazione, ha dunque dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), nella parte in cui prevede l'inammissibilità della domanda di equa riparazione nel caso di mancato esperimento del rimedio preventivo di cui all'art. 1-ter, comma 6, della medesima legge.
Sul punto la Consulta richiama l'affermazione già fatta con riferimento all'analogo istituto dell'istanza di accelerazione prevista per il processo penale che «pur presentato come diritto alla stregua dell'art. 1-bis, comma 1, della legge n. 89 del 2001, opera, piuttosto, come un onere, visto che il mancato adempimento, in base al comma 1 del successivo art. 2, comporta l'inammissibilità della domanda di equa riparazione» (sentenza n. 175 del 2021).
Inoltre, prosegue, se è vero che in sintonia con la giurisprudenza della Corte EDU, i rimedi preventivi sono non solo ammissibili ma addirittura preferibili, in quanto volti a evitare che i procedimenti giudiziari si protraggano eccessivamente nel tempo, occorre, tuttavia, che ne consegua un rimedio effettivo, ciò che accade soltanto laddove venga realmente resa più sollecita la decisione da parte del giudice competente. Così non è per "l'imposizione di adempimenti che costituiscano espressione di «una mera facoltà del ricorrente […] con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera "prenotazione della decisione" (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio)» (sentenza n. 34 del 2019). Adempimenti di tal genere, infatti, non avrebbero «efficacia effettivamente acceleratoria del processo» (sentenza n. 169 del 2019).
La disciplina processuale del giudizio davanti alla Corte di cassazione, infatti, non ricollega al deposito dell'istanza di accelerazione in esame "alcun effetto significativo sui tempi del procedimento, dal momento che il legislatore non ha previsto, come conseguenza della presentazione di essa, l'attivazione, fosse pure mediata dalla valutazione del giudice, di un diverso – e, in tesi, più celere – modulo procedimentale per addivenire alla decisione della causa".
La decisione segnala comunque che la riforma Cartabia, (articolo 3, comma 28, lettera g), del Dlgs 10 ottobre 2022, n. 149) ha introdotto – con il nuovo articolo 380-bis del Cpp, inapplicabile ratione temporis nel giudizio a quo – un rito accelerato anche nell'ambito del giudizio davanti alla Corte di cassazione. Tuttavia, il legislatore della riforma non ha inteso instaurare alcun collegamento diretto tra l'istanza disciplinata dalle disposizioni censurate e il suddetto rito accelerato.
Se dunque, concede la Consulta, il deposito nei tempi dell'istanza di accelerazione, dimostra la volontà di ottenere una decisione rapida, allora la mancata presentazione «può eventualmente assumere rilievo (come indice di sopravvenuta carenza o non serietà dell'interesse al processo del richiedente) ai fini della determinazione del quantum dell'indennizzo ex lege n. 89 del 2001» (sentenza n. 169 del 2019); "quel che, invece, non risulta conforme ai parametri costituzionali evocati - conclude la Corte costituzionale - è che l'omesso deposito dell'istanza possa condizionare la stessa ammissibilità della domanda di equa riparazione" (in senso analogo, sentenza n. 175 del 2021).