Penale

Conto società, sì a sequestro preventivo se il socio minoritario lo utilizza con finalità illecite

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 38888 depositata oggi, giudicando inammissibile il ricorso della Srl contro la misura cautelare

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È legittimo il sequestro preventivo del conto corrente della società se il socio di minoranza, munito di delega ad operarvi, lo utilizzi per svolgere una attività illecita. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 38888 depositata oggi, giudicando inammissibile il ricorso della Srl contro la misura cautelare.

Il Tribunale del riesame di Salerno aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contro il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal Gip del Tribunale di Nocera. Il legale rappresentate della Srl ha allora proposto ricorso per Cassazione deducendo la mancanza e il vizio di motivazione in quanto il Tribunale non avrebbe considerato il fatto che il conto corrente su cui giaceva la somma sequestrata era utilizzato in via esclusiva da parte del legale rappresentante della società, e non anche dall’imputata, seppure delegata ad operarvi. Dunque, sempre secondo la Srl ricorrente, la sola circostanza che la donna fosse socia di minoranza non giustifica l’estensione del sequestro a tutte le somme in possesso della società.

Per la Terza sezione penale il ricorso è inammissibile. In primis, infatti, il Collegio ricorda che in materia di misure cautelari reali, il ricorso in Cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, “per questa dovendosi intendere - quanto alla motivazione della relativa ordinanza - soltanto l’inesistenza o la mera apparenza”. Vanno perciò considerati inammissibili tutti quei profili di censura in cui, sotto l’ombrello della violazione di legge e della carenza di motivazione, in realtà si lamenta una «insufficienza» di motivazione.

E allora il primo motivo di doglianza, quello relativo al fumus commissi delicti, è da ritenersi inammissibile in quanto qualifica come «erronea» una motivazione che fornisce le seguenti evidenze: 1) l’imputata ha la delega a operare sul conto; 2) detiene una partecipazione societaria pari al 5% del valore delle quote; 3) la società è stata partecipe del sistema illecito posto in essere dall’imputata, come emerge dalle conversazioni intercettate. Per la Cassazione da tutti questi elementi, “letti congiuntamente”, si ricava che attraverso la delega l’imputata “esercitasse di fatto poteri corrispondenti a quelli riservati al titolare del rapporto bancario”.

Dunque, per i giudici, si tratta di una motivazione “esistente e non meramente apparente”, per cui il ricorso va dichiarato inammissibile in quanto proposto fuori dei casi consentiti dalla legge.

Lo stesso ragionamento, prosegue la decisione, vale per le esigenze cautelari. Nella motivazione relativa al periculum in mora, infatti, si evidenzia la concreta sussistenza del pericolo di dispersione “vuoi per la mancata apprensione di tutta la somma corrispondente al profitto del reato, vuoi per la peculiare natura del denaro, suscettibile di volatilizzazione”. Si tratta di una motivazione, conclude la Corte, che anche se fosse in ipotesi “non corretta, deve ritenersi comunque sussistente e, di conseguenza, il motivo, in cui il ricorrente si duole del vizio di motivazione, va dichiarato inammissibile”.

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