Civile

Contratti bancari: la Cassazione fa il punto sulla nullità delle clausole vessatorie o abusive, nel caso di squilibrio tra diritti e doveri delle parti

La fattispecie è un classico del settore: due mutui, rispetto ai quali erano stati dedotti diversi profili di invalidità delle clausole contrattuali inerenti al meccanismo di indicizzazione (al franco svizzero) e di estinzione anticipata, lamentandone la scarsa chiarezza e trasparenza anche con riferimento alle norme di tutela contro le clausole vessatorie e alla nullità per difetto di causa.

di Antonino La Lumia *

Clausole abusive e vessatorie nei contratti tra professionista e consumatore: la Prima Sezione Civile della Cassazione - con la recente sentenza n. 23655 del 31 agosto 2021 - torna sul tema della nullità con specifico riferimento ai contratti bancari, nell'ipotesi di grave squilibrio tra diritto e doveri delle parti.

La fattispecie è un classico del settore: due mutui, rispetto ai quali erano stati dedotti diversi profili di invalidità delle clausole contrattuali inerenti al meccanismo di indicizzazione (al franco svizzero) e di estinzione anticipata, lamentandone la scarsa chiarezza e trasparenza anche con riferimento alle norme di tutela contro le clausole vessatorie e alla nullità per difetto di causa.

Dopo la decisione di primo grado, che - accogliendo parzialmente le domande degli attori - aveva condannato la Banca a restituire al cliente la somma corrisposta a titolo di indicizzazione valutaria del capitale, la Corte di appello era stata di diverso avviso, condannando quest'ultimo a restituire, a sua volta, la medesima somma, ritenendo che l'analisi delle clausole contrattuali rendesse evidente l'indicizzazione in franchi svizzeri del mutuo anche per il capitale e che comunque l'eventuale scarsa chiarezza del testo delle clausole stesse non potesse determinare la declaratoria di nullità.

La Cassazione, investita della questione, svolge un approfondito iter logico-giuridico, che porta a conclusioni diverse da quelle proposte dai giudici di appello.

Il punto certamente più interessante attiene alla doglianza circa il mancato rilievo d'ufficio della nullità delle clausole per difetto di chiarezza e comprensibilità, per vessatorietà ed eccessivo squilibrio: i ricorrenti contestavano, in sintesi, la violazione degli obblighi di diligenza professionale, buona fede, correttezza e trasparenza, nonché del connesso divieto di abuso nei rapporti tra professionisti e consumatori, così come la nullità delle clausole per difetto di meritevolezza e di causa in concreto, con necessità di ricalcolare gli interessi sulla somma concessa a mutuo, ai sensi dell'art. 117 T.U.B.

I giudici di secondo grado avevano rigettato l'appello incidentale, sostenendo che esclusivamente le clausole vessatorie e non quelle soltanto "ambigue" sarebbero affette da nullità e che la tutela del cliente sarebbe limitata a due aspetti: l'obbligo del professionista di redigere per il futuro le clausole in modo più chiaro e l'ammissibilità dell'interpretazione della clausola nel senso più favorevole al consumatore.

La Cassazione, in proposito, mostra di non condividere tale assunto e si riporta - con spunto condivisibile - alla Direttiva 5 aprile 1993 n. 13 (1993/13/CEE) concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, evidenziando che l'art. 3, par. 1, prevede che "una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determinare, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto".Il richiamo normativo è assolutamente pertinente, così come quello successivo alle altre norme della Direttiva e alle disposizioni che le hanno recepite nell'ordinamento italiano: artt. 1469 bis ss. c.c. e artt. 33 ss. D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 ("Codice del consumo").

A tal riguardo, la Suprema Corte è netta, sottolineando come - in virtù del combinato disposto delle norme comunitarie e nazionali - "le clausole contrattuali di un contratto tra professionista e consumatore, redatte in modo non chiaro e comprensibile, possono essere qualificate vessatorie (nella terminologia italiana) o abusive (nella terminologia europea), se determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e ciò anche ove esse concernano la stessa determinazione dell'oggetto del contratto o l'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, se tali elementi non sono individuati in modo chiaro e comprensibile".

È questo il cuore della questione e, per supportare il principio, la Cassazione richiama l'orientamento consolidato della Corte di Giustizia UE, secondo cui il sistema di tutela si fonda essenzialmente sul presupposto che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per ciò che concerne non soltanto il potere nelle trattativa, ma anche il livello di informazione: tanto ciò è vero che egli non può che aderire alla condizioni predisposte dalla controparte, senza poter in alcun modo incidere sulle stesse.

Inoltre, il criterio di chiarezza, trasparenza e comprensibilità, che va adottato per la redazione delle clausole contrattuali, deve essere inteso necessariamente in maniera estensiva, operando non soltanto non sul piano formale e lessicale, ma anche su quello informativo: in questo modo, occorre garantire al consumatore di comprendere e valutare, in base a parametri precisi e intellegibili, gli effetti che derivano, per la sua sfera giuridica ed economica, dall'adesione al contratto proposto dal professionista.

Tale cautela è avvertita a maggior ragione in ambito bancario e finanziario, dove i contratti devono assicurare la piena consapevolezza del cliente (Corte Giustizia UE, sentenza 20 settembre 2017, in causa C-186/2016: "… il requisito secondo cui una clausola deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile presuppone che, nel caso dei contratti di credito, gli istituti finanziari debbano fornire ai mutuatari informazioni sufficienti a consentire a questi ultimi di assumere le proprie decisioni con prudenza e in piena cognizione di causa. A tal proposito, tale requisito implica che una clausola, in base alla quale il mutuo deve essere rimborsato nella medesima valuta estera nella quale è stato contratto, sia compresa dal consumatore non solo sul piano formale e grammaticale, ma altresì in relazione alla sua portata concreta, nel senso che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, possa non solo essere a conoscenza della possibilità di apprezzamento o deprezzamento della valuta estera nella quale il prestito è contratto, ma anche valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sui suoi obblighi finanziari"; così più recentemente anche: Corte Giustizia UE, sentenza 3 marzo 2020, in causa C-125/18).

Sulla base di questo excursus normativo e giurisprudenziale, la Cassazione ha ritenuto che l'affermazione in diritto della Corte di appello fosse viziata per contrasto con il diritto europeo e il diritto nazionale.

Ciò posto, ha ribadito che, ai sensi dell'art. 1419 c.c., l'eventuale giudizio di nullità delle singole clausole non comporta necessariamente la nullità dell'intero contratto e ha affrontato la questione delle censure riservate dai ricorrenti alla valutazione dei giudici di appello circa la chiarezza e la comprensibilità delle clausole del mutuo: le doglianze attinenti alla violazione dei canoni legali in materia di interpretazione del contratto - evidenzia la sentenza - non possono fungere da schermo, attraverso il quale sottoporre impropriamente al giudizio di legittimità valutazioni che appartengono esclusivamente a quello di merito.

Pertanto, se non hanno potuto trovare ingresso - in sé considerate - le argomentazioni circa la mancanza di chiarezza, trasparenza e comprensibilità del regolamento contrattuale (essendo tale presupposto escluso dalla Corte di appello, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità), la Cassazione è invece giunta a diverse conclusioni in riferimento al provvedimento emesso dall'Autorità Garante della concorrenza e del mercato (AGCM) n. 27214 del 2018, che ha valutato come alcune clausole dei contratti di mutuo in euro indicizzati in valuta estera della Banca fossero affette da "difetto di chiarezza e trasparenza" - essendo scarsamente comprensibili dal consumatore - e, quindi, contrarie ai principi della Direttiva 1993/13/CE, come interpretati dalla Corte di Giustizia UE.

La sentenza, confermando il noto orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo il quale gli accertamenti compiuti dall'Autorità garante godono di un'efficacia probatoria rafforzata nei giudizi civili ordinari e costituiscono prova privilegiata (ex multis, Cass., sez. I, 5 luglio 2019, n. 18176), ha affermato che, nella specie, ricorressero giusti motivi per attribuire un valore presuntivo a tali accertamenti del Garante (cfr. sentenza n. 11904 del 2014).

Da tale assunto, la Suprema Corte ha fatto derivare un dovere specifico di motivazione e di confutazione in capo al giudice ordinario adito ai sensi del codice del consumo e chiamato a verificare il medesimo tessuto contrattuale inciso dal provvedimento amministrativo: dovere che, secondo la sentenza in commento, non era stato assolto dai giudici di appello, i quali - pur a conoscenza del provvedimento dell'Autorità - avevano ritenuto di riportare in modo autonomo le ragioni della propria diversa valutazione in termini di chiarezza e intellegibilità delle clausole.

Non solo. Sarebbe stato necessario ulteriormente verificare se dette clausole determinassero a carico del consumatore un considerevole squilibrio dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto: operazione, anche in questo caso, omessa.

Da qui, l'accoglimento del motivo di ricorso, la cassazione in parte qua della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d'appello in diversa composizione.


* Commento alla sentenza della Cassazione, Sezione Prima Civile, 31 agosto 2021 n. 23655, a cura dell'avv. Antonino La Lumia (Founding Partner di Lexalent)


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