Lavoro

Contratto di prossimità: la Corte Costituzionale chiarisce i contorni della disciplina

Nota a sentenza, Corte Costituzionale n. 52 del 2023

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di Tommaso Targa e Leonardo Calella *

Con la sentenza n. 52/2023, depositata il 28 marzo 2023, la Corte Costituzionale ha giudicato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d'Appello di Napoli, con ordinanza del 3 febbraio 2022, dell'art. 8 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, soffermandosi, nondimeno, sui presupposti che consentono di distinguere gli accordi di prossimità dagli ordinari accordi collettivi aziendali.

I fatti.

Un gruppo di lavoratori si è rivolto al Tribunale di Napoli invocando il pagamento di differenze retributive (per scatti, ferie e altri istituti retributivi) a loro asseritamente dovute in base alla contrattazione collettiva di categoria. In primo grado, il ricorso è stato rigettato poiché tali pretese erano precluse da un accordo sindacale aziendale, qualificato dalle parti come "di prossimità", sottoscritto (a quanto è dato sapere) da un solo sindacato "maggiormente rappresentativo" e derogatorio delle previsioni del CCNL.

In sede di impugnazione, la Corte d'Appello di Napoli, ritenendo infondate le pretese dei lavoratori - dovendosi applicare l'accordo sindacale aziendale in questione - ha chiesto alla Consulta di stabilire se la disciplina dell'art. 8 violi gli artt. 2 e 39, commi 1 e 4, della Costituzione.

Nella prospettiva dell'ordinanza di rimessione, dal momento che l'accordo di prossimità produce effetti generalizzati – perciò anche nei confronti dei lavoratori dissenzienti e/o iscritti a organizzazioni sindacali che non lo hanno sottoscritto – è potenzialmente compromessa la libertà sindacale, sia dei singoli sia delle stesse organizzazioni sindacali, oltre ad essere consentita la stipulazione di contratti collettivi erga omnes, pur in assenza dei requisiti sostanziali e procedurali richiesti dall'art. 39, co. 4, Cost. (norma che, come noto, è rimasta lettera morta, non avendo, sino ad oggi, ricevuto attuazione da parte del legislatore).

Da parte sua, l'Avvocatura dello Stato ha chiesto di dichiarare non fondate le questioni, argomentando, da un lato, che l'art. 39 Cost. si riferirebbe solo ai contratti collettivi nazionali, quindi il problema non si porrebbe per quelli di secondo livello (territoriali o aziendali). Dall'altro lato, l'efficacia soggettiva erga omnes – ossia estesa a tutti i dipendenti dell'azienda - sarebbe imposta dalla tutela di interessi collettivi e dall'inscindibilità della disciplina pattizia nei confronti dei lavoratori operanti nello stesso contesto.

La disposizione in commento e la precedente giurisprudenza costituzionale formatasi in materia.

L'art. 8, rubricato "Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità", dispone quanto segue:

1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività .

2. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:

a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;

b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;

c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;

d) alla disciplina dell'orario di lavoro;

e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio , il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonche' fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.

2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

3. Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori".In relazione alla legittimità costituzionale di questa norma, la Consulta si era già pronunciata con sentenza 4 ottobre 2012, n. 221.

In tale vertenza, la Regione Toscana aveva lamentato la violazione degli artt. 39, 117, comma 3, e 118 Cost., poiché l'art. 8, consentendo agli accordi di prossimità di derogare anche alle leggi regionali in materia di tutela del lavoro, avrebbe vanificato la legislazione regionale in assenza di strumenti di concertazione. In quell'occasione, la Consulta ha dichiarato infondata la questione, valorizzando il carattere tassativo dell'elenco delle materie che possono essere oggetto di accordo di prossimità, e la conseguente natura eccezionale della norma.

Inoltre, in tale pronuncia, la Corte Costituzionale aveva evidenziato che, ai sensi dell'art. 8, comma 2-bis, le "specifiche intese" sono destinate ad operare nell'ambito di materie rientranti tutte nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ragion per cui esse non possano incidere sulla legislazione regionale emanata in materia di tutela del lavoro, demandata alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni.

La pronuncia di inammissibilità.

Secondo la Consulta, la legittimità costituzionale dell'estensione erga omnes dell'efficacia dell'accordo di prossimità presuppone che il caso principale abbia ad oggetto un accordo aziendale che rispetti i requisiti di cui all'art. 8. Nella sentenza in commento – apparentemente legata allo specifico caso concreto - la Consulta ha affermato il principio generale per il quale un accordo di prossimità non è tale per il solo fatto che sia così qualificato dalle parti sottoscriventi, essendo, invece, necessario che presenti tutte le condizioni previste dall'art. 8.

Laddove sia accertata la sussistenza di tali requisiti, l'accordo concluso tra le parti sociali è idoneo ad essere applicato erga omnes a tutti i lavoratori.

In caso contrario, si è di fronte ad un "accordo aziendale ordinario che è dotato, invece, di un'efficacia solo tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori in azienda". L'accordo aziendale ordinario ha un'efficacia solo tendenzialmente generalizzata, come ricordato dalla Corte Costituzionale, richiamando le ordinanze della Cassazione 10 novembre 2021, n. 33131, 15 giugno 2021, n. 16917 e sentenza 22 luglio 2019, n. 19660.

In tali pronunce, la Cassazione ha, infatti, sottolineato che l'efficacia (solo) tendenzialmente erga omnes degli accordi aziendali – discendente dalla necessità di una disciplina unitaria degli interessi collettivi dei lavoratori in azienda – trovi un limite nell'espresso dissenso manifestato dalle organizzazioni sindacali non firmatarie e/o dai singoli lavoratori.

Dissenso che, secondo la Consulta, per essere concreto ed attuale, deve, comunque, essere espresso contestualmente o, comunque, in un arco temporale sufficientemente ravvicinato rispetto alla stipulazione dell'accordo stesso.

Passando poi ad analizzare gli aspetti della fattispecie concreta, dai quali secondo la sentenza in commento non è desumibile la natura di prossimità ex art. 8 dell'accordo di che trattasi, la Consulta ha colto l'occasione per esaminare analiticamente gli elementi costitutivi della fattispecie legale, fornendo utili indicazioni all'interprete.

Ribadendo la natura eccezione della fattispecie ex art. 8, già affermata con la precedente pronuncia del 2012, la Corte Costituzionale ha, anzitutto, osservato che gli accordi di prossimità devono essere sottoscritti "da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda", nozione questa ben diversa da quella di "sindacato maggiormente rappresentativo", originariamente prevista dall'art. 19 St. Lav e, successivamente, superata dalla Consulta, nella sentenza del 23 luglio 2013, n. 231, nonché dalla giurisprudenza di Cassazione (cfr. Cass. civ. sez. lav., 21 ottobre 2015, n. 21430).

La definizione legale dei soggetti legittimati a sottoscrivere accordi sindacali di prossimità è ben più restrittiva rispetto a quella delle organizzazioni sindacali che hanno titolo per invocare le libertà sindacali previste dalla seconda parte dello Statuto dei Lavoratori.

Il secondo aspetto evidenziato dalla Consulta riguarda il criterio maggioritario con cui l'accordo di prossimità deve essere approvato, onde poter "vincolare la minoranza che tale accordo non vuole". A questo proposito, la Corte si è soffermata su questo aspetto ancora irrisolto della fattispecie legale, evidenziando che l'art. 8 "non precisa in cosa possa consistere il criterio maggioritario". Di qui la necessità di "scelte interpretative" rimesse al giudice (con conseguente incertezze sugli effetti prodotti dall'accordo), sebbene la consultazione referendaria dei lavoratori coinvolti possa rappresentare lo strumento ideale per dare concretezza al suddetto criterio.

In terzo luogo, la Corte ha rimarcato che l'accordo di prossimità è tale solo se diretto a perseguire uno degli scopi tassativamente indicati dal primo comma ed anche le materie che possano essere oggetto dell'accordo sono un numerus clausus, dovendo rientrare nell'elenco previsto dal secondo comma della disposizione (come già affermato, da ultimo da Cass. civ.. sez. lav., 10 novembre 2021, n. 33131).

Partendo da queste considerazioni, la Consulta non ha ravvisato nell'ordinanza di rimessione elementi sufficienti a poter ritenere integrata la fattispecie di cui al predetto art. 8:

i) l'accordo aziendale di che trattasi era, infatti, stato sottoscritto da un unico sindacato, del quale non risultava dimostrata la natura comparativamente più rappresentativa sul piano nazionale o territoriale;

ii) nemmeno risultava essere stato rispettato il criterio maggioritario che, al contrario, sembrerebbe essere stato disapplicato, stante la firma dell'accordo da parte di una sola sigla sindacale;

iii) anche sotto il profilo della materia oggetto dell'accordo, la Corte ha ritenuto eccessivamente generico il riferimento al "peggioramento delle condizioni economiche dei lavoratori", lamentato dai ricorrenti nella controversia de qua.

In definitiva, nella sentenza in commento la Corte Costituzionale ha (implicitamente) bilanciato l'eccezionale efficacia erga omnes dell'accordo di prossimità con un'interpretazione rigorosa dell'art. 8, talché, in giudizio, il giudice di merito è tenuto ad accertare analiticamente, nel caso concreto, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, a prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti all'accordo stesso.

*a cura di Tommaso Targa e Leonardo Calella – Trifirò & Partners Avvocati

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