Penale

Contravvenzioni, l’errore sulla pena va sempre corretto

La mancata applicazione della diminuente non deve mai essere tollerata

di Giovanni Negri

In materia di reati contravvenzionali giudicati con rito abbreviato, il giudice di appello deve applicare la più consistente diminuzione prevista per legge anche quando la pena inflitta dal giudici di primo, non in linea con le previsioni edittali, è comunque di maggiore favore. Questa la conclusione raggiunta dalle Sezioni unite con la sentenza 7578 depositata ieri. La sentenza delle Sezioni unite ha così annullato, senza rinvio, pronuncia della Corte d’appello di Milano con la quale, pur riconoscendo che la sentenza di primo grado che aveva inflitto la pena di 2 mesi di arresto a un imputato che aveva condotto fuori dalla propria abitazione un coltello a serramanico non aveva applicato la prevista diminuzione della metà ma solo di un terzo della sanzione prevista, tuttavia aveva applicato un trattamento di maggior favore.

La riqualificazione

Dopo avere riqualificato il fatto, la condotta, per la Corte d’appello, si sarebbe dovuta inquadrare nella fattispecie disciplinata dall’articolo 4 della legge n. 110 del 1975, punita con un minimo di 6 mesi. La Corte d’appello aveva così dato applicazione all’orientamento giurisprudenziale per il quale l’irrogazione in primo grado di una pena illegale vantaggiosa per l’imputato consente di negare in appello effetti di ulteriore favore.

L’impugnazione

Le Sezioni unite però si discostano da questa linea interpretativa e chiariscono che l’accoglimento di motivi di impugnazione legittimamente proposti dall’imputato, che mettono in evidenza la mancata osservanza e violazione di legge nel trattamento sanzionatorio, non può essere neutralizzato da indebite forme di compensazione. In questo modo, infatti, «si vanificherebbe l’effettività del diritto di difesa, che postula non solo l’accesso la mezzo di impugnazione, ma anche, a fronte di un motivo fondato ritualmente prospettato, un provvedimento giudiziale che offra reale risposta e concreto rimedio al vizio dedotto».

Doppio errore

Poco sostenibile poi è l’obiezione per cui si tratterebbe di evitare di aggravare le conseguenze di un errore commesso nel precedente grado di giudizio. In realtà, obiettano le Sezioni unite, in questo caso a errore si aggiungerebbe errore, sia pure di segno opposto. D’altra parte, sottolinea la sentenza, è l’ordinamento stesso a stabilire i suoi fisiologici rimedi, attribuendo al pubblico ministero la facoltà di proporre impugnazione contro una sentenza di condanna a una pena in violazione dei minimi previsti dalla legge.

Non si può pensare che l’inerzia del soggetto competente possa essere surrogata «da un intervento correttivo officioso del giudice di secondo grado, che, superando la preclusione formatasi sul punto , si tradurrebbe, da un lato, nella non consentita estensione della cognizione oltre i limiti del tema devoluto,e, dall’altro, nella omissione del dovere di rispondere compiutamente al motivo di gravame proposto dall’imputato, dando piena attuazione alla richiesta con esso legittimamente dedotta».

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