Civile

Credito d’imposta R&S: tra obbligatorietà del preventivo parere Mimit e assolvimento dell’onere della prova con perizia certificata

Nota a Corte di Giustizia di primo grado di Rimini, sentenza n. 131/2024

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di Barbara Carbognani e Simona Piscitelli*

L’attuale scenario in cui si incastra l’acceso dibattito giurisprudenziale circa la legittimità degli atti di recupero relativi ai crediti d’imposta ricerca e sviluppo, non preceduti da un preventivo parere del Mimit e non connotati dal requisito della novità assoluta della ricerca, rappresenta il campo minato in cui si muovono i giuristi.

Ma andiamo con ordine, cercando di contestualizzare i nodi cruciali del dibattito, individuandone le peculiarità e lo sviluppo. Ebbene, per quanto concerne il preventivo parere del Mimit sui progetti agevolati, il decreto Mef, 27 maggio 2015, art. 8, comma 2, prevedeva che, se nell’ambito di attività di verifica e controllo da parte dell’ADE fossero risultate necessarie valutazioni di carattere tecnico finalizzate all’ammissibilità di specifiche attività, la stessa Agenzia avrebbe avuto la facoltà di richiedere un parere del Mimit. Infatti, è la stessa Agenzia con Circolare 31/e/2020 che, in tema di interpelli su questioni riguardanti attività di ricerca e sviluppo, chiarisce la propria incompetenza a trattare questioni di carattere tecnico, rendendosi competente e disponibile solamente per quelle di carattere fiscale.

L’accertamento dei requisiti dell’attività di ricerca e sviluppo che presuppone lo studio tecnico della ricerca finalizzata a determinarne il raggiungimento di nuovi risultati e nuove scoperte, non può prescindere dal possesso, da parte di chi esprime un’analisi, delle competenze e delle conoscenze nei campi più svariati della ricerca.

A tal proposito, va segnalata la recentissima sentenza n. 131/2024 della Corte di Giustizia di primo grado di Rimini che, toccando il tema più controverso della norma in ambito di ricerca e sviluppo e cioè lo sviluppo del “software”, conferma la necessità del possesso di una serie di competenze e conoscenze tecniche quando si esprimono valutazioni di carattere tecnico.

L’atto di recupero – come risultava dal provvedimento impugnato e dal ricorso della società Contribuente – era scaturito da un invito da parte dell’Agenzia delle Entrate volto a verificare la spettanza di un credito d’imposta ricerca e sviluppo rispetto allo svolgimento di determinate attività. A seguito di tale richiesta, la Società inviava tutta la documentazione afferente al credito d’imposta ricerca e sviluppo per gli anni dal 2017 al 2019. Tale verifica si concludeva con un processo verbale dal quale essenzialmente emergeva che la Società, pur avendo svolto effettivamente le attività e sostenuto i costi ad esse relative, non poteva beneficiare dell’agevolazione in quanto le attività in questione non soddisfacevano i requisiti di novità e incertezza previsti dal Manuale di Frascati. Tali conclusioni venivano poi trasfuse nell’atto di recupero, oggetto di impugnazione, che veniva contestato dalla Società, la quale supportava la propria tesi fornendo una documentazione avente carattere tecnico – scientifico.

La Contribuente, infatti, depositava in giudizio la perizia giurata dell’ingegnere redatta nell’ambito del progetto di ricerca, che chiariva puntualmente la progettazione e lo sviluppo di sistemi informatici e software volti all’innovazione dei servizi offerti ai propri clienti, con annessa descrizione dettagliata delle attività eseguite dai dipendenti aziendali sotto la supervisione e collaborazione di un consulente esterno.

La Società, inoltre, soddisfaceva l’onere probatorio mediante una certificazione da parte di un soggetto iscritto all’albo dei certificatori di cui al DPCM 15 settembre 2023, che ha ritenuto il progetto conforme al Manuale di Frascati e al Manuale di Oslo.

Dall’esame della documentazione innanzi richiamata i giudici hanno chiarito quanto segue: “Va allora rilevato il carattere apodittico delle osservazioni critiche formulate dall’Ufficio che, a supporto delle sue tesi, non ha prodotto alcuna documentazione di carattere tecnico scientifico idonea a contrastare le ragioni della società ricorrente. In particolare l’assunto che le attività riportate a compensazione non costituiscano attività di ricerca e sviluppo nell’accezione rilevante ai fini dell’ammissibilità al credito d’imposta non risulta adeguatamente motivato nell’atto impugnato, essendosi l’Ufficio limitato a richiamare in via generica i contenuti descrittivi delle attività che la stessa contribuente assume esser state svolte e che ritiene sussumibili nelle attività compensabili, senza tuttavia specificarne le ragioni in concreto soprattutto con riguardo alla ritenuta carenza di innovatività dei progetti se non per generico richiamo ad una disciplina di riferimento”.

L’atto impositivo, nel caso di specie, difetta di motivazione in quanto l’Ufficio si è mosso effettuando autonomamente valutazioni in ordine a tematiche caratterizzate da un forte tecnicismo, effettuando osservazioni che, seppur astrattamente convincenti, scontano la circostanza di essere state formulate senza alcun apporto da parte di soggetti muniti della preparazione tecnica necessaria ad effettuare siffatto tipo di valutazione.

La sentenza, in conclusione, annulla l’atto impugnato rilevando: “Proprio in considerazione dell’elevato tasso di tecnicismo che caratterizza le valutazioni in ordine alla ammissibilità del credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo il comma 2 dell’art. 8 del decreto attuativo attribuisce all’Agenzia delle Entrate la facoltà di richiedere al Ministero dello sviluppo economico di esprimere il proprio parere, non potendo con tutta evidenza l’Agenzia delle entrate rivendicare dirette conoscenze di natura tecnico-scientifica tali da consentire una congrua valutazione circa la rispondenza delle attività di ricerca e sviluppo ai parametri normativamente previsti per la fruizione del credito d’imposta: motivo per il quale le argomentazioni espresse nell’atto impositivo, in mancanza di un parere tecnico emesso dall’organo a ciò preposto, si pongono di fatto sullo stesso piano delle articolate deduzioni difensive e, quindi, appaiono intrinsecamente insufficienti a legittimare la pretesa impositiva” . 

La sentenza in questione pone l’accento sul comportamento “attivo” della Contribuente che, in ottemperanza al proprio onere di provare in giudizio i fatti che costituiscono il fondamento del diritto vantato, non solo depositava tutta la documentazione attestante le attività di progettazione e sviluppo dei sistemi informatici e software, ma anche una certificazione di un soggetto iscritto all’albo dei certificatori, che qualifica il progetto in questione come conforme alle linee guida e alle specifiche tecniche riportate nel Manuale di Frascati e nel Manuale di Oslo. Di contro, ponendo l’accento sul carattere tecnico dell’analisi delle attività che resta alla base della motivazione di un atto di recupero in materia di ricerca e sviluppo, censura le osservazioni dell’Ufficio ritenendo le stesse un mero richiamo descrittivo delle attività svolte e non supportate da relazioni o pareri di soggetti muniti della preparazione tecnica necessaria ad effettuare valutazioni di questo tipo. Viene, pertanto, in rilevo la necessaria esigenza, posta alla base dell’atto di recupero, di una motivazione rafforzata da parte dell’Ufficio che, specificando le ragioni per le quali quel tipo di attività non rientrerebbe nel perimetro delle attività agevolabili, sia supportata, proprio in quanto riguardante tematiche caratterizzanti da un forte tecnicismo, da pareri di soggetti con competenze qualificate rispetto l’analisi delle attività oggetto di accertamento.

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*A cura dell’Avv. Barbara Carbognani, Dott.ssa Simona Piscitelli, HSL Advisors

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