Penale

Curatela fallimentare, necessaria un'autorizzazione ad hoc del giudice delegato per impugnare il sequestro preventivo

La sentenza n. 27334/2021 della Quinta sezione penale della Cassazione ha focalizzato il tema della legittimazione penal-processuale del curatore fallimentare

di Aldo Natalini

Il curatore fallimentare, sebbene già autorizzato dal giudice delegato al fallimento ad avanzare al giudice per le indagini preliminari istanza di revoca di un sequestro preventivo, è legittimato a proporre impugnazione cautelare avverso il provvedimento applicativo della misura reale solo se lo stesso giudice delegato abbia reso un'autorizzazione ad hoc, ulteriore rispetto alla prima.
Così la sentenza n. 27334/2021, depositata lo scorso 15 luglio, con cui la Quinta sezione penale della Cassazione ha focalizzato il tema della legittimazione penal-processuale del curatore fallimentare nei diversi gradi in cui può svolgersi il giudizio cautelare.
La Suprema corte, nella specie, ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione interposto dal curatore fallimentare (per denunciata violazione di legge, indicata nell'articolo 568, comma 4, del Cpp) avverso l'ordinanza del locale Tribunale del riesame che, a sua volta, aveva dichiarato inammissibile l'appello cautelare del curatore del fallimento avverso il provvedimento del Gip di rigetto della richiesta di dissequestro di un'immobile di proprietà della società fallita. Secondo i giudici de libertate mancava la prescritta autorizzazione ex articolo 31 della legge fallimentare da parte del giudice delegato al fallimento il quale aveva autorizzato il curatore ad avvalersi di un legale per la sola attività di consulenza, ferma la necessità del rilascio di autonoma autorizzazione per eventuali azioni o costituzioni in giudizio utili alla tutela delle ragioni della massa dei creditori con riguardo al pendente sequestro preventivo dell'immobile di proprietà della fallita.

Il dictum: autorizzazione necessaria per ogni grado del giudizio
La sentenza in commento nell'enunciare il principio di diritto sopra massimato muove, anzitutto, dalla giurisprudenza massimamente nomofilattica: in parte motiva richiama quanto già statuito dalle sezioni Unite Penali: «il curatore del fallimento, nell'espletamento dei compiti di amministrazione del patrimonio fallimentare, ha facoltà di proporre sia l'istanza di riesame del provvedimento di sequestro preventivo, sia quella di revoca della misura, ai sensi dell'articolo 322 del Cpp, nonché di ricorrere per cassazione ai sensi dell'articolo 325 stesso codice avverso le relative ordinanze emesse dal tribunale del riesame»; «in questi casi il curatore agisce, previa autorizzazione del giudice delegato, per la rimozione di un atto pregiudizievole ai fini della reintegrazione del patrimonio, attendendo alla sua funzione istituzionale rivolta alla ricostruzione dell'attivo fallimentare» (Cassazione, sezioni Unite penali, n. 29951/2004, Focarelli, Ced 228163 ; più di recente vedi sezioni Unite penali, n. 45936/2019, Fallimento di Mantova Petroli s.r.l. in liquidazione, Ced 277257).
In secondo luogo, l'odierna decisione ricalca quanto prevede, sotto il profilo della necessità della prescritta autorizzazione ad agire, la legge fallimentare, ai sensi della quale:
- il giudice delegato al fallimento «esercita funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura e» - per quel che qui rileva - «autorizza per iscritto il curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto. L'autorizzazione deve essere sempre data per atti determinati e per i giudizi deve essere rilasciata per ogni grado di essi» (art. 25, comma 1, n. 6, della legge fallimentare);
- il curatore del fallimento «non può stare in giudizio senza l'autorizzazione del giudice delegato, salvo che in materia di contestazioni e di tardive dichiarazioni di crediti e di diritti di terzi sui beni acquisiti al fallimento, e salvo che nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice delegato o del tribunale e in ogni altro caso in cui non occorra ministero di difensore» (articolo 31, comma 2, legge fallimentare).
Orbene, poiché a seguito della proposizione di appello ex articolo 310 del Cpp si instaura un successivo grado del giudizio cautelare (Cassazione, sezione VI penale, n. 8691/2018, Ced 272215; sezione II civile, n. 33576/2016, Fassih, Ced 267500), ne consegue la necessità di un'apposita autorizzazione del giudice delegato affinché la curatela possa interporre appello cautelare (ovvero ricorso per cassazione).

L'orientamento della giurisprudenza civile di legittimità
L'odierno approdo dei giudici della V sezione penale della Cassazione si rifà anche all'indirizzo in subiecta materia della giurisprudenza civile di legittimità – pure richiamato in sentenza – secondo cui «il curatore del fallimento, pur essendo l'organo deputato ad assumere la qualità di parte nelle controversie inerenti la procedura fallimentare, non è fornito di una capacità processuale autonoma, bensì di una capacità che deve essere integrata dall'autorizzazione del giudice delegato, che anzi (per come prescrive l'articolo 25, n. 6, secondo inciso, della legge fallimentare) dev'essere rilasciata in relazione a ciascun grado del giudizio, tanto che, in mancanza di specifica autorizzazione per il singolo grado di giudizio, sussiste il difetto di legittimazione processuale, a nulla rilevando che il curatore sia stato parte in senso formale nel grado di giudizio precedente in quanto fornito di un'autorizzazione per esso» (Cassazione, sezione III civile, n. 15392/2005, Fallimento 66386 Mondo Music Srl contro Uno Srl, Ced 582937; Id., n. 26359/2014, Fallimento Clinica Villa Russo Spa contro Comune San Giorgio Cremano ed altri, Ced 634376).
Né in senso contrario al rassegnato principio di diritto che esige un'autorizzazione specifica per interporre appello cautelare può rilevare quell'indirizzo civilistico secondo cui «l'autorizzazione a promuovere un'azione giudiziaria, conferita dal giudice delegato al curatore del fallimento, si estende, senza bisogno di specifica menzione, a tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell'obiettivo del giudizio cui si riferisce» (Cassazione, sezione VI civile, n. 24651/2020, citata). Questa diversa esegesi – cadenzano i Supremi giudici di Piazza Cavour – è stata resa non in relazione alla legittimazione del curatore nei diversi gradi di giudizio, bensì con riferimento alla «latitudine dell'azione effettivamente esercitata», ossia al thema del giudizio devoluto dal curatore che sia stato autorizzato e alla sua ampiezza rispetto all'oggetto dell'autorizzazione del giudice delegato (così, tra le altre, Cassazione, sezione I civile, n. 10652/2011, Fallimento Cossu contro Ici Industrie Costruzioni Imballi di Dierico, Ced 618191; Id., n. 614/2016, Fallimento Metron Srl contro Adonis s.r.l. ed altri, Ced 638265, relativa ai limiti dell'autorizzazione del giudice delegato al curatore a costituirsi nel giudizio di cui era già parte il fallito; Id., n. 351/2005, Banca Credito Coopativo Sesto San Giovanni ed altro contro Fallimento Ferraresi Munari Di Ferraresi, Ced 579310; sezione VI civile, n. 24651/2020, citata, sulla legittimazione del curatore in relazione alla causa petendi e il petitum per cui era stata esercitata l'azione).

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