Civile

Danno da condotta anticoncorrenziale, il giudice è tenuto all’esercizio di poteri d’indagine

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di Michele Nico

Con la sentenza n. 11564 del 4 giugno 2015 la Corte di Cassazione, sezione I, afferma che, in considerazione dell'asimmetria informativa che connota il funzionamento del libero mercato e della conseguente gravosità dell'onere della prova afferente gli eventi di natura economica, la tutela del diritto al risarcimento del danno da condotta anticoncorrenziale impone che il giudice si discosti dall'applicazione meccanica del principio dell'onere della prova ed eserciti autonomi poteri d'indagine, fermo restando il rispetto del contraddittorio.

Il caso - La pronuncia in esame prende le mosse dal fatto che 52 grossisti di prodotti ortofrutticoli, esercenti la loro attività commerciale in un centro agroalimentare di Roma, chiamano in giudizio la società che lo gestisce in via esclusiva, con l'accusa di condotte anticoncorrenziali e abuso di posizione dominante.
Secondo i ricorrenti, tale società – nella veste di unico soggetto titolato a concedere i box ai grossisti agroalimentari della capitale – avrebbe approfittato della sua posizione per imporre agli operatori commerciali un assetto contrattuale vessatorio e discriminatorio in violazione dell'articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, con la sottoscrizione di contratti-capestro e annessi regolamenti per la disciplina in dettaglio delle modalità di accesso e di funzionamento del centro agroalimentare.
Si consideri che, nell'ambito del contenzioso in esame, con sentenza 8 marzo 2010 la Corte d'appello di Roma ha rigettato la domanda degli esercenti, assumendo l'inesistenza di un “mercato rilevante” – a necessario fondamento del lamentato abuso di posizione dominante – alla luce degli scarsi elementi probatori addotti in causa (i contratti di locazione e regolamenti allegati), nonché in mancanza di un confronto con le condizioni praticate da altri consimili centri agroalimentari.

Il “mercato rilevante” - In tale contesto, una prima chiave di lettura messa in chiaro dalla suprema Corte sta nel fatto che la circostanza che il soggetto gestore di un mercato di commercio all'ingrosso eserciti la gestione di servizi di interesse generale non esime l'impresa dall'osservanza delle norme in materia di antitrust e, segnatamente, dell'articolo 3 della legge 287/1990, secondo cui «è vietato l'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante », nonché per conseguenza «imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose».
Premesso ciò, il collegio confuta l'approccio metodologico seguito dalla Corte d'appello per accertare la presenza di un “mercato rilevante”, là dove essa si è limitata a ricercare l'esistenza di una concorrenza tra i mercati generali agroalimentari, onde verificare la possibilità dei grossisti di accedere ad altri centri in condizioni economiche di analoga fruibilità e intercambiabilità.
Muovendo da un diverso angolo visuale, la Cassazione assume che «l'esistenza di transazioni e negozi giuridici, specialmente se di contenuto discriminatorio, aventi a oggetto la gestione di prodotti o servizi … possa validamente indicare l'esistenza di un “mercato rilevante” in quel determinato settore».

Il potere del giudice - Allargando lo sguardo alla disamina alle direttive di matrice comunitaria, la Corte conclude che la tutela effettiva del diritto al risarcimento del danno da condotta anticoncorrenziale postula, in considerazione dell'asimmetria informativa esistente tra le parti in tali ambiti nell'accesso alla prova relativa a fatti complessi di natura economica, che il giudice non può applicare meccanicamente il principio dell'onere della prova, ma deve interpretare estensivamente le condizioni stabilite dal codice di procedura civile, per l'esercizio dei poteri d'indagine, fermo il rispetto del principio del contraddittorio.
In altre parole, in tema di accertamento di condotte anticoncorrenziali non vale del tutto il principio generale “onus probandi incumbit ei qui dicit”, ma in considerazione delle specifiche difficoltà probatorie enunciate e dell'alta posta in gioco il giudice è in questo caso tenuto all'esercizio di poteri d'indagine, al fine di acquisire dati e informazioni utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale denunciata.

Corte di Cassazione – Sezione I – Sentenza 4 giugno 2015 n. 11564

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