Responsabilità

Danno parentale: niente automatismi nell'applicazione delle tabelle di Milano

La sentenza n. 10579 pone l'accento sulla necessità ridurre la discrezionalità nei risarcimenti ancoradola a criteri oggettiviLa sentenza n. 10579 pone l'accento sulla necessità ridurre la discrezionalità nei risarcimenti ancoradola a criteri oggettivi

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di Alberto Cisterna

La Corte di cassazione con la sentenza n. 10579/2021 porta a ulteriore svolgimento la propria revisione argomentativa sulle Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale predisposte sulla base dei criteri orientativi elaborati dall'Osservatorio per la giustizia civile del Tribunale di

Milano; tabelle che proprio di recente avevano registrato un ulteriore aggiornamento per superare i rilievi di piazza Cavour sulla composizione del cosiddetto “punto variabile” e recati dalla sentenza n. 25164/2020.

Questa volta la vicenda deriva da una controversia in cui la corte distrettuale (Catania) aveva disatteso l’applicazione fatta dal giudice di prime cure (Siracusa) delle Tabelle di Roma in materia di danno parentale e si era espressa in favore di quelle di Milano in ragione della loro "vocazione nazionale", quindi il terreno di confronto si presenta particolarmente significativo per verificare l’ulteriore tenuta dei due sistemi tabellari.

 

La vicenda all’esame della Suprema corte

La questione di merito riguardava la morte di una persona a seguito di un sinistro stradale e a distanza di due giorni dal suo ricovero con una richiesta risarcitoria proveniente dalla moglie e dal fratello del de cuius.

Secondo la sentenza annullata dalla Cassazione «per il danno biologico terminale doveva farsi riferimento all'invalidità permanente assoluta, prevista dalle tabelle (di Milano) nella forbice compresa tra euro 97,00 ed euro 145,00 per cui, considerato che il tempo trascorso fra la lesione e la morte era di due giorni, spettava la somma di euro 290,00 (145x2), da ripartire fra gli aventi diritto, previa decurtazione del 50°/o per il concorso di colpa del danneggiato», questo in relazione al danno iure hereditatis.

Quanto, poi, al danno parentale, «premesso che le tabelle meneghine prevedevano per la moglie una somma compresa fra euro 163.900,00 ed euro 327.990,00 e per il fratello una somma compresa fra euro 23.740,00 ed euro 142.420,00, che, in base ai criteri indicati, il criterio della convivenza era da applicare solo in favore del coniuge, mentre il criterio dell'intensità della relazione affettivo familiare andava applicato in favore di entrambi gli attori, specie in considerazione della giovane età del deceduto (con conseguente elisione, ex abrupto, del legame affettivo), e che per quanto riguardava (la moglie)  andava valutata inoltre l'improvvisa perdita del coniuge subito dopo la celebrazione del matrimonio, con il conseguente venir meno delle aspettative di vita familiare».

Tanto premesso, per tale voce di danno, aveva riconosciuto al coniuge la somma di euro 172.193,00 (pari al 70°/o della media tra il minimo ed il massimo della forbice indicata dalle tabelle meneghine) e che in favore del fratello andava liquidata la somma di euro 49.848,00 (pari al 60°/o della media tra il minimo ed il massimo della forbice indicata), importi da decurtare nel caso di specie del 50 % in considerazione del concorso di colpa del danneggiato.

 

La questione dell’applicabilità di Milano

Il primo motivo di ricorso denunciava, ovviamente, la violazione di legge per la mancata adozione delle Tabelle del Tribunale di Roma sul rilievo che, come affermato da Cassazione n. 14402/2011 e n.10263/2015, non sia censurabile l'applicazione di diverse tabelle di quantificazione del danno, rispetto a quelle di Milano, qualora non vi sia sproporzione fra la tabella applicata e quella meneghina.

La Corte di legittimità ha ritenuta questa doglianza fondata, così ribaltando definitivamente un indirizzo che riemergeva, invero carsicamente, nelle pronunce della Cassazione secondo cui la mancata applicazione delle Tabelle milanesi avrebbe comportato la sussistenza di un vizio di violazione di legge ex articolo 1226 del Cc (Cassazione n. 17678 del 2016; n. 7562 del 2017), per effetto della preminenza paranormativa da accordare a quei criteri di liquidazione del danno (Cassazione n. 8532 del 2020).

 

La soluzione offerta dai Supremi giudici

La sentenza n. 10579/2021 muove dal rilievo che, in effetti, i parametri delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale ovvero «quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti». Da tale posizionamento nel procedimento di liquidazione discende «l'incongruità della motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri tratti dalle tabelle di Milano consenta di pervenire (Cassazione 28 giugno 2018, n. 17018; 18 novembre 2014, n. 24473; 30 giugno 2011, n. 14402)».

Si tratta di un orientamento ampiamente condiviso e che muove dall’evidente esigenza di evitare la proliferazione in sede locale di Tabelle eterogenee e ancorate a parametri scarsamente collaudati per le dimensioni stesse della sede giudiziaria. In quest’ottica la decisione in commento poco aggiunge. Naturalmente il criterio “preferenziale” enunciato dalla Corte di legittimità non può esimere i giudici di merito e, per la parte che le compete, la Cassazione dal compito di scrutinare i criteri tabellari approntanti da Milano come da Roma per collaudarne la tenuta normativa e la conformità ai parametri di equità ex articolo 1226 del Cc che ne rappresentano la legittimazione sostanziale.

Questa volta a finire sotto osservazione, come detto, è stata la porzione della Tabella di Milano che concerne il danno cosiddetto “parentale”. Annota la sentenza della Corte: «ciò che deve essere valutato è se, con riferimento a tale tipologia di danno, le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma possano essere considerate recessive rispetto a quelle meneghine, per cui il parametro, ai fini della conformità a diritto della liquidazione, debba essere fornito dalle tabelle milanesi, rispetto alle quali quindi andrebbe apprezzata l'eventuale sproporzione della quantificazione del risarcimento».

La pronuncia, per procedere a questa valutazione, ha ritenuto indispensabile procedere a quello che ha definito «un chiarimento più generale sulla problematica delle tabelle per la

liquidazione del danno non patrimoniale». A quella importante e pregevole parte della motivazione deve, in questa sede, necessariamente farsi richiamo (§ 1.1.1 e seguenti), affinché siano esplicite le ragioni che rendono razionale e ragionevole nel nostro ordinamento il sistema tabellare che presiede a un compito affatto preminente nella liquidazione del danno alla persona.

 

Il punto variabile: una questione di bilanciamento

Fulcro dell’operazione di bilanciamento assiologico che legittima le Tabelle è, ovviamente, il sistema del punto variabile per la misura del risarcimento a seguito di danno dinamico relazionale. Osserva la Corte che «la tabella elaborata

dall'ufficio giudiziario definisce un complesso di caselle entro le quali sussumere il caso, analogamente a quanto avviene con la tecnica della fattispecie, in funzione dell'uniforme risoluzione delle controversie. La tabella, elaborata per astrazione dalle sentenze di merito monitorate, rinvia in un'ultima istanza alla valutazione equitativa del danno di cui all'art. 1226 eidentifica regole uniformi per la liquidazione del danno non patrimoniale». In questo scenario, osserva la Corte, la funzione di garanzia dell'uniformità delle decisioni che compete alle Tabelle elaborate dagli uffici giudiziari è affidata al sistema del punto variabile, «per il grado di prevedibilità che tale tecnica offre pur

con limitate possibilità di deroga, derivanti dalla eccezionalità del caso di specie e consentite dalla circostanza che, a differenza della tabella unica prevista dall'art. 138, si tratta non di una norma di diritto positivo, ma del diritto vivente riconosciuto» dalla medesima Cassazione. Il punto variabile, nella traiettoria disegnata dal giudice della legittimità, è la garanzia più appropriata e il mezzo più efficace cui la stessa sentenza Amatucci del 2011 aveva assegnato rilevanza, con la conseguenza che «quando il sistema del punto variabile non è seguito la tabella non garantisce la funzione per la quale è stata concepita, che è quella dell'uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di eguaglianza». Quindi l’esame dei criteri tabellari è imposto dalla peculiare natura e dagli orizzonti di senso che connotano il giudizio di legittimità in questa materia e lo scrutinio per la materia del danno parentale non ha sortito un esito favorevole per le Tabelle di Milano: «sotto questo aspetto non può sfuggire che la tabella meneghina, con riferimento al danno da perdita parentale, non segue la tecnica del punto, ma si limita ad individuare un tetto minimo ed un tetto massimo, fra i quali ricorre peraltro una assai significativa differenza (ad esempio a favore del coniuge è prevista nell'edizione 2021 delle tabelle un'oscillazione fra euro 168.250,00 e Euro 336.500,00)».

Una forbice differenziale che la Corte ritiene impropria poiché consegna al giudice margine di discrezionalità non controllabili nell’individuazione della somma da corrispondere al danneggiato. Difetta il requisito della «concretizzazione tipizzata» del protocollo equitativo quale deve essere una tabella basata sul sistema del punto variabile. Donde l’opzione, molto più esplicita di quanto emerga dal misurato argomentare della Corte, in favore delle Tabelle di Roma che la Corte d’appello catanese aveva sostituito in riforma della pronuncia di primo grado. Si legge nella motivazione: «Garantisce invece uniformità e prevedibilità una tabella per la

liquidazione del danno parentale basata sul sistema a punti, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione. In particolare, i requisiti che una tabella siffatta dovrebbe contenere sono i seguenti: 1) adozione del criterio "a punto variabile"; 2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti; 3) modularità; 4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi

punteggi».

Sia consentito rilevare, una sorta di fotografia del sistema tabellare capitolino che si articola, appunto, in tutte le scansioni pretese dalla Corte di legittimità. Ragione per cui «l'individuazione di un sistema a punti anche per la liquidazione del danno parentale, costituisce il naturale sviluppo e la logica evoluzione di quanto era già presente, al livello di principio di

diritto» nella sentenza n. 12408 del 2011.

               

                Un richiamo della Suprema corte

Certo la sentenza n. 10579 del 2021 non risolve alcuna disputa campanilistica tra distretti, né predilige un modello di liquidazione rispetto all’altro, ma pone con forza e in molti punti la necessità di un ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di assicurare una prevedibilità delle pronunce risarcitorie e quella di applicare protocolli di personalizzazione che adeguino gli importi alla concreta peculiarità del caso. Uno sforzo complesso - al momento rimesso dal Legislatore ancora ai giudici di merito in attesa della Tabella unica nazionale - ma rispetto al quale la Corte ha affermato con forza il perimetro del proprio sindacato nella consapevolezza piena del delicato equilibrio che l’applicazione dell’articolo 1226 del Cc impone all’operatore giudiziario e della necessità di assicurare una verifica del percorso argomentativo.

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