Decreto 231, anche le sanzioni definitive prescritte in 5 anni
Respinta la tesi del Gip di Milano favorevoleal termine decennale
Il termine di prescrizione di 5 anni in materia di responsabilità amministrativa degli enti e delle società riguarda sia l’illecito , a fare data dalla sua consumazione, sia la sanzione definitivamente inflitta. Quest’ultima dovrà essere applicata oppure riscossa , a pena di estinzione, entro 5 anni dal passaggio in giudicato della sentenza pronunciata a carico della persona giuridica. Questo il principio di diritto cristallizzato dalla Cassazione con la sentenza n. 31854 della Prima sezione penale, depositata il 19 agosto. Annullata quindi, con rinvio, la sentenza del Gip di Milano che, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta di Tim che, sanzionata, in un procedimento per violazione della disciplina 231 concluso con patteggiamento, per 600.000 euro, si era vista notificare la relativa cartella esattoriale di pagamento a più di 5 anni dalla data di passaggio in giudicato della condanna .
La Cassazione, nell’affrontare la questione, ha fornito un’interpretazione sistematica dell’articolo 22 del decreto legislativo 231 del 2001. È vero infatti che il primo comma dell’articolo 22 si riferisce solo alla prescrizione dell’illecito, facendo riferimento al momento di consumazione del reato, ma la disposizione va letta nel suo complesso, valorizzando in particolare il comma 4 dove si ricorda che la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (nel caso di interruzione avvenuta attraverso la contestazione dell’illecito amministrativo). E, di conseguenza, una volta avvenuto il passaggio in giudicato, il termine di 5 anni inizierà nuovamente a decorrere.
Per il Gip di Milano, invece, l’articolo 22 non si occupa della prescrizione delle sanzioni, ma solo dell’illecito e il termine di prescrizione di queste ultime andrebbe mutuato dal Codice civile, articolo 2953, e individuato in 10 anni.
La sentenza della Cassazione osserva inoltre che la sentenza passata in giudicato non può che essere quella che definisce la responsabilità dell’ente e non quella emessa a carico dell’imputato del reato presupposto, visto che la responsabilità da reato degli enti può essere affermata anche in caso di mancata identificazione dell’autore del reato presupposto.
Quanto al rinvio alla disciplina del Codice civile, la Cassazione sottolinea che questo si riferisce soltanto alla disciplina dell’interruzione e non anche in materia di durata del termine di prescrizione. Questa conclusione è corroborata da considerazioni di ordine sistematico, perchè, a prescindere dall’ormai risalente dibattito sulla natura della responsabilità degli enti, il sistema appare «di stampo prettamente sanzionatorio», almeno contiguo al sistema penale, tale da fare rifiutare l’adozione dell’articolo 2953 del Codice civile.