Penale

Decreto 231, messa alla prova vietata alle società

Un’informazione provvisoria delle Sezioni Unite della Cassazione chiude le porte dell’istituto agli enti

di Giovanni Negri

La messa alla prova non si applica alle società imputate per reati commessi in violazione del decreto 231. A questa netta conclusione arrivano le Sezioni unite della Cassazione, con una decisione per ora cristallizzata, in attesa delle motivazioni, in un’informazione provvisoria. Quest’ultima autorizza nello stesso il procuratore generale a impugnare con ricorso in Cassazione l’ordinanza di ammissione all’istituto recentemente potenziato dalla riforma Cartabia tra pochi giorni in vigore.

Sul fronte del diritto penale dell’economia intanto la pronuncia delle Sezioni unite pone termine a un dibattito assai risalente, dove se in passato l’accesso alla messa alla prova da parte degli enti era stato precluso (in questo senso per esempio il tribunale di Milano nel 2017 con ordinanza del 27 marzo), pochi mesi fa, a giugno, un’ordinanza del Tribunale di Bari ha preso posizione ritenendo l’istituto compatibile con il sistema di responsabilità delineato dal decreto 231 perché «la ratio di politica criminale che ispira il decreto legislativo 231/2001 non è la retribuzione fine a se stessa, né la mera prevenzione generale, ma la prevenzione speciale in chiave rieducativa: si vuole, cioè, indurre l’ente ad adottare comportamenti riparatori dell’offesa che consentano il superamento del conflitto sociale instaurato con l'illecito, nonché idonei, concreti ed efficaci modelli organizzativi che, incidendo strutturalmente sulla cultura dell’impresa, possano consentirgli di continuare ad operare sul mercato nel rispetto della legalità o, meglio, di rientrarvi con una nuova prospettiva di legalità».

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