Penale

Decreto 231, resta il nodo dell’efficacia dei modelli organizzativi

Dai dati ancora non è rilevata la capacità di esonero da responsabilità per chi li adotta

di Raffaele Piccirillo e Nicola Selvaggi

Ad ogni riforma dovrebbe sempre seguire un costante monitoraggio sulla sua effettività. I dati finora raccolti sono fisiologicamente espressivi di un lavoro ancora in itinere e tuttavia, offrono già spunti importanti di riflessione su uno strumento che costituisce un fondamentale investimento del sistema normativo italiano, anche per gli impegni internazionali assunti.

Il primo è quello di un’applicazione ancora non omogenea sul territorio nazionale e per certi versi al di sotto delle aspettative complessive. Gli stessi elementi raccolti segnalano una certa selettività della disciplina, con riferimento in particolare ad alcune fattispecie di reato; non è escluso, peraltro, che questo indirizzo possa trovare ulteriori consolidamenti: un veicolo potrebbe essere rappresentato dalla operatività della Procura europea, che procede per i reati Pif e potrebbe – anche per ragioni di omogeneità di trattamento a livello europeo – costituire il terreno di elezione della responsabilità dell’ente.

Il secondo riguarda una sorta di “inespressività” rispetto all’elemento qualificante del decreto 231/2001, rappresentato dall’esonero dalla responsabilità per l’ente che abbia adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi. I dati raccolti non consentono ancora di stabilire in quanti casi le pronunce liberatorie a favore dell'ente siano dipese, in particolare, dalla buona organizzazione generale, nonostante il verificarsi del reato.

È un punto, questo, su cui andranno orientati gli ulteriori sviluppi della ricerca. La soluzione prescelta dall’ordinamento italiano, tra le opzioni astrattamente prospettabili e quelle concretamente praticamente da altri ordinamenti stranieri, rappresenta infatti uno degli esercizi più compiuti di “saldatura” tra l’evoluzione di un moderno concetto di governo dell’impresa, e dei suoi molteplici impieghi, e la struttura giuridica della responsabilità da reato.

È un modello disciplinare, quello del d.lgs. 231/2001, che dà risalto all’autoregolamentazione in funzione preventiva, anche attraverso una possibile collaborazione del Ministero della Giustizia (che può fornire, ed in effetti fornisce, osservazioni sulla idoneità dei codici di comportamento redatti dalle associazioni di categoria). L’autoregolamentazione induce l’ente alla ricognizione continua delle proprie “vulnerabilità oggettive” ed al loro monitoraggio. Ed è chiaro come le chances di un effettivo compimento di questo indirizzo dipendano, oltre che dalla serietà della compagine organizzata, anche dalla affidabilità del sistema di responsabilità, e quindi del sistema normativo, che mostri di saper/voler distinguere tra ente ed ente, realizzandosi così come un ordinamento ‘leale' in grado di valorizzare gli sforzi fatti dal soggetto collettivo.Si comprende allora il significato che assume una verifica compiuta delle principali tendenze empiriche: da un lato quelle ricavabili dall’analisi, nei “laboratori della prevenzione”, degli sforzi organizzativi compiuti dalle imprese; dall’altro quelle ricostruibili attraverso la raccolta dei dati concernenti l’applicazione giudiziaria.

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