Penale

Detenzione di stupefacenti, gli indici sintomatici dello spaccio

La Cassazione, sentenza n. 21859 depositata oggi, ha accolto il ricorso di un uomo considerando illogiche le inferenze della Corte di appello

di Francesco Machina Grifeo

Pronti i chiarimenti della Cassazione sulla destinazione per uso personale o a fini di spaccio della droga portata con sè in strada ed emersa durante un controllo. La Terza sezione penale, sentenza n. 21859 depositata oggi segnalata per il “Massimario”, accogliendo il ricorso dell’imputato, condannato per spaccio dalla Corte di appello di Palermo, ha affermato che la “mera detenzione di tre dosi di cocaina, suddivisa in sette bustine, in orario notturno e in una nota piazza di spaccio è elemento muto rispetto alla prova della destinazione allo spaccio, trattandosi di una condotta del tutto compatibile con l’uso personale”.

Poco prima di mezzanotte, durante un servizio in abiti civili mirato alla repressione del narcotraffico, alcuni agenti di polizia giudiziaria procedettero al controllo dell’imputato che a quel punto gli consegnò spontaneamente un involucro contenente sette confezioni di cocaina, per un totale di 0,88 gr. lordi, con una percentuale di purezza del 70,41%, da cui erano ricavabili 2,96 dosi medie. Sostanza che teneva nella tasca della tuta. Per la Corte di merito la destinazione allo spaccio era desumibile dai seguenti elementi: la “rilevante” quantità; la suddivisione in dosi ma anche le “circostanze di tempo e di luogo”; il fatto cioè di trovarsi di notte in una “nota piazza di spaccio”; nonché le precedenti condanne. Di diverso avviso la Suprema corte che parla di motivazione “manifestamente illogica”.

In materia di stupefacenti, ricorda la Cassazione, la prova della destinazione a uso non esclusivamente personale della droga, prova - ribadisce la Corte - che incombe sull’organo della pubblica accusa, può essere desunta da una serie di indici sintomatici, quali: la quantità dello stupefacente (n. 11025/2013), elemento che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili (n. 46610/2014); l’essere tossicodipendente; le condizioni economiche; le modalità di custodia e frazionamento; il ritrovamento di altre sostanze e/o di mezzi idonei al taglio e al confezionamento, e ancora il “luogo e le modalità di custodia” (n. 36755/2004). Non è peraltro necessario - aggiunge la Corte - che, nel singolo caso, sia accertata la sussistenza di tutti gli indici sintomatici sopra citati, purché tuttavia la destinazione “sia appurata, oltre ogni ragionevole dubbio, sulla base di uno o più elementi chiaramente indicativi della finalità di spaccio”. Valutazione che compete al giudice di merito che terrà conto di tutte le circostanze “oggettive e soggettive del fatto”.

Infine, la sentenza chiarisce che la prova dell’uso personale, come quella della sua destinazione allo spaccio, “può essere desunta da qualsiasi elemento o dato indiziario che, con rigore, univocità e certezza, consenta di inferirne la sussistenza attraverso un procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza”.

E allora, tornando al caso specifico, per il giudice di legittimità, autorizzato a sindacare il giudizio di merito “soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione”, dagli indizi riportati, anche se “unitariamente considerati”, non si può inferire la destinazione allo spaccio, “considerando che il quantitativo sequestrato, pur suddiviso in sette confezioni, pari a nemmeno tre dosi, è del tutto minimale e che, durante il servizio di appostamento precedente al controllo, l’imputato non è stato visto avere alcuna interazione con terzi, così come del tutto neutri sono le circostanze di tempo e di luogo e i precedenti penali dell’imputato”.

La sentenza è stata così annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste mancando un elemento costitutivo del reato, vale a dire la destinazione a terzi della sostanza stupefacente.

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