Penale

Diffamato il Comune tacciato di collusione con un clan nella mail inviata al Sindaco

di Paola Rossi

La mail inviata all’indirizzo istituzionale di un ufficio di un ente è atta a far conoscere a terzi e non solo al diretto destinatario vertice dell’ufficio, il contenuto veicolato. Ciò che integra uno dei presupposti del reato di diffamazione: la diffusione ad altri delle offese recate alla reputazione altrui. Nel caso si tratti di commenti relativi a istituzioni coinvolte sulla gestione della cosa pubblica questi sono scriminati, come legittimo esercizio di critica politica, anche se contengono aspre critiche, ma solo se rispettano i canoni della continenza e non sono gratuitamente lesive della reputazione di altri. E devono comunque essere fondate su notizie vere con rilevanza di interesse pubblico.

La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 17326/2024 - in accoglimento del riscorso della procura contro l’assoluzione di un consigiere comunale ha ribadito un proprio risalente orientamento secondo cui integra la fattispecie penale l’invio di uno scritto offensivo indirizzato a un dato soggetto, nel caso concreto il sindaco, se questo avviene tramite la mail istituzionale dell’ufficio cui questo appartiene o di cui sia il responsabile.

Integra perciò la diffamazione contro il Comune l’invio non riservato all’ufficio del Sindaco di un modulo predisposto dallo stesso ente locale al fine di conoscere le opinioni dei propri cittadini su specifiche scelte amministrative se nella risposta sono presenti espressioni offensive che tacciano la decisione istituzionale come espressione di adesione a un clan camorristico.

Il fatto che l’invio non sia stato operato su una casella di posta elettronica espressamente riservata a una persona, cioè il sindaco, ma al suo ufficio fa ritenere che il mittente si sia già rappresentato l’ipotesi che i collaboratori che vi lavorano apprendano il contenuto della mail e delle offese espresse.

Nel caso concreto il Comune aveva predisposto dei moduli per ricevere osservazioni da cittadini o raprresentanti delle istituzioni, come nel caso dell’imputato nella vicenda, sulla decisione del consiglio comunale di aderire a una società in house providing per la gestione del ciclo dei rifiuti. Quindi senza gara pubblica, ma con affidamento diretto: scelta comunque in sé totalmente lecita.

Il “sondaggio”, sicuramente aperto alla critica politica, non consente di scriminare come irrilevante penalmente la risposta che afferma come l’affidamento diretto costituisse nei fatti adesione a un clan riferibile a un noto esponente politico della regione. Una simile affermazione è in sé offensiva in mancanza di notizie vere e indicate che dimostrino l’esistenza o il serio dubbio di tale collusione.

Sarà ora il giudice del rinvio a stabilire se sia applicabile o meno la scriminate della critica politica, mentre sulla comunicazione a terzi delle offese la Cassazione ha già precisato con la sentenza di annullamento che la mail inviata all’ufficio comunale integra di sicuro tale elemento del reato.

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