Penale

Diffamazione a mezzo Facebook, non è punibile chi "percepisce" siano stati offesi i valori della Resistenza

Il Tribunale di Forlì con la recente sentenza n.822/2021 ha riconosciuto l'esimente della provocazione

di Pietro Alessio Palumbo

La causa di non punibilità per provocazione che ha scatenato uno stato d'ira sussiste non soltanto quando il fatto ingiusto altrui integri gli estremi di un illecito codificato ma anche quando consista nella lesione di regole di convivenza civile; purché apprezzabile alla stregua di un giudizio oggettivo; con esclusione della rilevanza della mera percezione negativa che di detta violazione abbia avuto l'agente. Su queste coordinante il Tribunale di Forlì con la recente sentenza n.822/2021 ha evidenziato che per il riconoscimento della esimente della provocazione, il fatto ingiusto altrui può costituire istigazione anche se diretto verso persona diversa da colui che reagisce, ma a costui legata, o verso un gruppo determinato di persone tra le quali colui che reagisce sia o si senta chiaramente incluso. Occorre in ogni caso non la mera proporzione fra la reazione e il fatto ingiusto altrui ma che sussista un vero e proprio nesso di casualità tra il fatto provocante e il fatto provocato; non è sufficiente un mero legame di occasionalità.

Le invettive contro la Resistenza
In applicazione dei suddetti principi il tribunale romagnolo ha messo nero su bianco che l'utilizzo in articoli o interviste di invettive esorbitanti da una mera critica, assumendo connotati calunniatori e irrispettosi delle radici storiche della Repubblica, della Resistenza e delle lotte e martiri dei partigiani, può giustificare critiche ed espressioni altrettanto aspre su Facebook. E ciò è tanto più possibile quando a pubblicare i citati commenti sul noto social sia chi per studi, cultura e professione si senta legato emotivamente alla lotta partigiana.
Nel processo penale l'imputato era stato accusato del delitto di diffamazione aggravato dall'utilizzo di un social network. Si era difeso con dichiarazioni spontanee nelle quali rappresentava formazione culturale legata ai valori della libertà di singolo e cittadini che hanno avuto nella Resistenza e nella lotta partigiana nobile espressione. Una netta contrapposizione ai "disvalori" della dittatura fascista anche considerata la figura del padre; partigiano antifascista condannato a confino e prigione.

L'esclusione della punibilità
Secondo il giudice la condotta offensiva dell'imputato non è meritevole di pena perché commessa in stato d'ira che in quanto ingenerata da fatto ingiusto altrui delinea una causa di esclusione della punibilità e dunque una scusante; idonea come tale a eliminare la rimproverabilità della condotta dell'autore del fatto in ragione delle motivazioni del suo agire. Il sistema valoriale fascista – ha evidenziato il tribunale – solo con fatica e sacrificio è stato sovvertito; per mezzo di un processo iniziato nella Resistenza e conclusosi con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Sotto tale profilo deve sottolinearsi la netta e ineludibile contrapposizione tra fascismo e ordinamento democratico non solo nella normativa costituzionale in cui si vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista, ma anche nella disciplina attuativa del 1952 in cui si precisa che si ha riorganizzazione del partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone persegua finalità antidemocratiche svolgendo propaganda razzista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica; ovvero denigrando la democrazia, le sue istituzioni, i valori della Resistenza.
Ecco dunque che a ben vedere è la legge stessa che tutela i valori della Resistenza; e quindi i partigiani.

Lo stato d'ira
Dal che invettive contro i partigiani espresse con linguaggio sprezzante e di mera svalutazione sono non solo provocatorie ma anche ingiuste. Insulti che potendo provocare un turbamento interiore in chi è impegnato nel credere e nel sostenere i valori della Resistenza, "giustificano" il possibile stato d'ira che si concreta in messaggi che (ancorché di portata aggressiva ed offensiva) non solo penalmente punibili. E l'operatività della scusante in parola non è preclusa dalla circostanza che il messaggio (nella vicenda un post su Facebook) non sia stato rapido rispetto alla istigazione (nella vicenda erano passate 24ore dalla pubblicazione dell'intervista). Ciò atteso che l'immediatezza della reazione deve essere intesa in senso relativo; avuto riguardo alla situazione concreta in modo da non esigere una contemporaneità che finirebbe per limitare la sfera di applicazione dell'esimente e di frustrarne logica e spirito. Deriva che per integrare la provocazione è sufficiente che l'azione reattiva sia condotta a termine persistendo l'"accecamento" dello stato di collera e che tra l'insorgere della reazione e il fatto sussista una contiguità temporale; tuttavia senza che occorra che la reazione si esaurisca in una reazione istantanea.

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