Divorzio, assegno alla ex anche se il marito ha condiviso l’impegno familiare
Lo ha stabilito la Cassazione, ordinanza n. 9989/2025, valorizzando il fatto che la ex moglie non aveva mai lavorato per dedicarsi alla famiglia; nonostante il collocamento della prole presso il padre
Nella determinazione dell’assegno divorzile all’ex, “la condivisione, da parte del padre, della responsabilità dell’educazione scolastica dei figli o il seguirli nello sport non vale ad escludere la circostanza che la moglie si sia dedicata alla famiglia e alla cura dei figli e che per tale motivo non fosse economicamente autonoma”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 9989 depositata oggi, rigettando il ricorso dell’ex marito conto la sentenza della Corte di appello che aveva disposto il versamento di un assegno di 500 euro al mese in favore della moglie.
La vicenda si segnala anche perché a seguito della separazione consensuale, il figlio, all’epoca ancora minorenne, veniva sì affidato ad entrambi i genitori ma con collocamento presso il padre, “il quale s’impegnava in modo esclusivo al suo mantenimento sia per le spese ordinarie che straordinarie”; gli veniva assegnata anche la casa coniugale; mentre entrambi rinunciavano a qualsiasi contributo al mantenimento, dichiarando economicamente autonomi. Ciononostante, il marito aveva continuato a versare spontaneamente alla moglie tra i mille ed i duemila euro al mese. Diversi anni dopo, tuttavia, aveva chiesto il divorzio “senza altra statuizione accessoria”, sottolineando che la propria situazione economica era molto peggiorata dopo il fallimento dell’azienda; mentre la moglie aveva potuto beneficiare della donazione di un immobile che aveva poi rivenduto con ampio guadagno.
Contro la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato lo scioglimento del matrimonio senza assegno, la ex aveva proposto ricorso e la Corte di appello le aveva dato ragione. Per il Collegio, infatti, è “pacifico” che la donna durante i 26 anni di matrimonio “non abbia mai lavorato e si sia dedicata alla cura della famiglia, mentre il marito ha svolto attività imprenditoriale garantendo un buon tenore di vita alla famiglia”. Inoltre, è “indubbia” la differenza reddituale-patrimoniale tra i coniugi e il fatto che la ex “non abbia fonti di reddito e si sia dedicata alla cura della famiglia con una scelta condivisa con il marito”. “Pertanto – aggiungeva -, l’assegno divorzile assume primariamente una funzione compensativa/perequativa, rappresentando un riconoscimento del contributo fornito dalla moglie economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e del marito, ma anche, sia pure in misura minore, assistenziale perché si presume che le somme ricavate dalla vendita degli immobili si sia erosa nel tempo”. Mentre nella determinazione del contributo, “non si può non considerare la situazione debitoria attuale dell’ex marito, e la circostanza che dall’intestazione di un immobile a favore dell’ex moglie questa abbia ricavato un ingente somma di danaro che non esaurisce i termini economici del contributo, da lei dato nel corso del matrimonio, ma vale per ridimensionare l’ammontare dell’assegno divorzile”.
Contro questa sentenza, il marito ha proposto ricorso in Cassazione. Per la Prima sezione civile, però, il ragionamento del Corte territoriale è corretto. Il ricorrente, argomenta la Corte, ha proposto un ricorso generico “perché non precisa di aver contestato in modo tempestivo e specifico, sin dalle prime difese e prima del formarsi delle preclusioni deduttive, le circostanze riguardanti il contributo della moglie alla vita familiare”. Inoltre, le prove addotte (e non ammesse) non solo tali da impedire l’applicazione del criterio compensativo-perequativo, in quanto come visto l’impegno del padre nella vita familiare, non esclude automaticamente “la circostanza che la moglie si sia dedicata alla famiglia e alla cura dei figli” in modo tale da non poter divenire autonoma economicamente.