Famiglia

Divorzio, divisione della casa familiare: alle Sezioni Unite il prezzo di mercato

La Cassazione, ordinanza interlocutoria n. 28871 depositata oggi, ha rimesso la questione al massimo consesso

di Francesco Machina Grifeo

Nel caso di divisione della casa familiare a seguito di separazione, come si determina il valore dell'immobile da liquidare al coniuge non affidatario? In particolare, dal valore di mercato va o meno detratto il deprezzamento conseguente al vincolo di destinazione derivante dall'assegnazione in via esclusiva come abitazione per i figli? La Corte di cassazione, ordinanza interlocutoria n. 28871 depositata oggi, prendendo atto della presenza di due orientamenti divergenti ha rimesso la questione alle Sezioni unite.

Il caso - Nel 2014, il Tribunale di Roma, con la sentenza di separazione, aveva assegnato l'appartamento già adibito a casa familiare alla ex moglie in quanto affidataria delle figlie. La Corte d'appello, nel 2018, aveva poi confermato altra decisione del Tribunale di Roma che, nel 2017, aveva dichiarato sciolta la comunione per quote eguali esistente sull'appartamento.

Lo scioglimento della comunione era avvenuto mediante attribuzione dell'intero immobile alla ex moglie, con conguaglio pecuniario in favore dell'ex marito di importo pari alla metà dell'intero valore di mercato del cespite, come stimato dal CTU. Senza dunque alcuna decurtazione collegata al diritto di godimento riconosciuto alla donna. Per il giudice di secondo grado infatti l'assegnazione "non può incidere sulla determinazione del relativo valore di mercato, qualora l'immobile venga attribuito in proprietà esclusiva al coniuge titolare del diritto di godimento sullo stesso". Il diritto infatti è attribuito nell'esclusivo interesse dei figli e non può quindi risolversi in un'indebita locupletazione per il coniuge affidatario che, dopo la divisione, potrebbe alienare il bene a terzi a prezzo pieno.

Contro questa decisione ha proposto ricorso l'ex moglie sostenendo invece che l'assegnazione comporta un oggettivo vincolo patrimoniale sull'immobile, del quale è necessario tener conto in quanto il provvedimento preclude al coniuge non assegnatario di godere pienamente del cespite. Per cui semmai l'indebita locupletazione starebbe dall'altra parte.

La motivazione - La II Sezione civile dunque ha così riassunto la questione: "se - in sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati, già destinato a residenza familiare e, per tale ragione, assegnato, in sede di separazione, al coniuge affidatario della prole - occorra tenere conto della diminuzione del valore della commerciale del cespite conseguente alla presenza sul medesimo del diritto di godimento del coniuge affidatario della prole pure nel caso in cui la divisione si realizzi mediante assegnazione a quest'ultimo della proprietà dell'intero immobile, con conguaglio in favore del comproprietario".

Su tale questione, come si diceva sono emersi, in seno alla giurisprudenza Cassazione, due contrapposti orientamenti. Secondo l'orientamento fatto proprio dalla sentenza impugnata, "l'assegnazione del godimento della casa familiare, in sede di separazione personale o divorzio non può formare oggetto di considerazione, in occasione della divisione dell'immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato del bene, qualora l'immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento sullo stesso; tale diritto, infatti, è attribuito nell'esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario cosicché, decurtandone il valore dalla stima del cespite, si realizzerebbe una indebita locupletazione a favore del medesimo coniuge affidatario, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale".

Secondo l'altro orientamento, richiamato dall'odierna ricorrente, "l'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l'immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l'altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non sia eventualmente modificato, sicché nel giudizio di divisione se ne deve tenere conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all'uno o all'altro coniuge ovvero venduto a terzi".

Il Collegio preso atto del contrasto e che la questione è di rilevante interesse pratico - "presentandosi in molti casi di divisione giudiziale" - l'ha rimessa alle Sezioni unite.

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