Famiglia

Divorzio, la moglie del chirurgo di fama non conserva il cognome

Per la Cassazione, ordinanza n. 654 depositata oggi, sì al cognome dell'ex marito solo in casi eccezionali

di Francesco Machina Grifeo

La notorietà dell'ex marito non è una ragione sufficiente per conservarne il cognome anche dopo la separazione. Si tratta infatti di una ipotesi straordinaria che può essere accordata dal giudice del merito unicamente quando sussista un interesse dell'ex coniuge o dei figli meritevole di tutela. Né la decisione è ricorribile in sede di legittimità. Lo ha stabilito la VI Sezione civile della Cassazione con l'ordinanza n. 654 depositata oggi, dichiarando inammissibile il ricorso dell'ex moglie di un noto chirurgo triestino che chiedeva di conservare, in aggiunta al proprio cognome, quello dell'ex marito.

Secondo la ricorrente a decisione impugnata non aveva tenuto conto che "detto cognome era divenuto parte integrante dell'identità personale, sociale e di vita di relazione della ricorrente, che da oltre 25anni, ossia ben oltre la metà della sua esistenza, era conosciuta nella città ove vive (Trieste) solo con il cognome dell'ex marito". E non ha neppure considerato "l'assenza assoluta di pregiudizio per il marito dall'utilizzo del cognome di quest'ultimo da parte della ricorrente, persona socialmente stimata e apprezzata".

Un ragionamento non condiviso dalla Suprema corte che ricorda come, ai sensi dell'art.143 bis c.c., "l'aggiunta del cognome maritale è un effetto del matrimonio circoscritto temporalmente alla perduranza del rapporto di coniugio". Mentre l'eccezionale deroga alla perdita del cognome maritale "è discrezionale e richiede la ricorrenza del presupposto dell'interesse meritevole di tutela dell'ex coniuge". L'articolo 5, comma 3, della legge n. 898/1970 in tema di divorzio, infatti, prevede che: «Il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela».

L'ordinamento familiare, spiega la Corte, privilegia la coincidenza fra denominazione personale e status, "sicché la possibilità di consentire con effetti di carattere giuridico-formali la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, dopo il divorzio, è da considerarsi una ipotesi straordinaria affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito".

Non è dunque sufficiente il "mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa". Né, prosegue il ragionamento, può escludersi che "il perdurante uso del cognome maritale possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta e che intenda ricreare […] un nuovo nucleo familiare". Mentre la valutazione della ricorrenza delle circostanze eccezionali è rimessa al giudice del merito giacché «di regola non è ammissibile conservare il cognome del marito dopo la pronuncia di divorzio, salvo che il giudice di merito, con provvedimento motivato e nell'esercizio di poteri discrezionali, non disponga diversamente.» (cfr. Cass. 21706/2015; Cass.3869/2019; Cass. 3435/2020).

Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, la Corte territoriale, conclude la Cassazione, ha motivatamente ritenuto che "nessun interesse davvero meritevole di tutela fosse stato allegato dalla ricorrente al mantenimento del cognome maritale unitamente al proprio, non potendo detto interesse identificarsi con quello derivante dalla notorietà dell'ex marito". E che "non vi fosse riscontro, nelle allegazioni e nelle istanze di prove, dell'assunto secondo cui il cognome maritale costituiva espressione dell'identità personale dell'ex moglie".

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