Famiglia

Divorzio, non c'è obbligo di concorrere alla spesa per l'università fuori sede del figlio

Lo ha stabilito la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 15229 depositata oggi affermando che serve una analitica quantificazione dei costi

di Francesco Machina Grifeo

In caso di divorzio, la spesa per il corso di studi fuori sede del figlio, particolarmente dotato, presso una prestigiosa università privata – la Bocconi di Milano – non ricade automaticamente nella ripartizione al 50% delle spese straordinarie decisa dal giudice, dovendo essere oggetto di una analitica quantificazione dei costi. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con l'ordinanza n. 15229 depositata oggi accogliendo con rinvio il ricorso di un papà a cui era stata addossata metà della spesa nonostante avesse espresso la sua volontà contraria motivata dall'impossibilità di fronteggiare i relativi costi.

La Corte d'appello, interpellata sulla congruità della ripartizione della spesa straordinaria, in particolare con riguardo al canone di locazione per l'alloggio e alle tasse universitarie, "ravvisata la rispondenza della scelta all'interesse della figlia, in ragione del suo brillante percorso di studi e del progetto di vita sviluppato in ambito familiare, ha affermato che i genitori erano obbligati a concorrere alla relativa spesa secondo le proprie possibilità, che ha ritenuto sostanzialmente omogenee in ragione della attività lavorativa svolta come insegnanti, rilevando che il padre non aveva «sufficientemente dimostrato l'impossibilità di … sostenere l'onere relativo al pagamento della metà delle spese straordinarie per il corso di studi universitari della figlia.»"

Proposto ricorso, il papà, tra l'altro, ha contestato alla Corte di merito di aver valutato "come analoghe le condizioni reddituali dei due genitori, senza considerare che il padre non poteva detrarre l'assegno di mantenimento per la figlia, non percepiva gli assegni familiari e non poteva detrarre le tasse universitarie, oltre ad essere gravato dal canone di locazione della sua abitazione".

Per la Prima Sezione civile va tenuto conte che "la quantificazione della contribuzione straordinaria, pur mutuando i criteri già indicati per l'assegno di mantenimento quanto alla comparazione dei redditi dei genitori ed alla opportuna proporzionalità della partecipazione, non assolve ad un'esigenza esclusivamente perequativa, come l'assegno di mantenimento, perché la contribuzione straordinaria ha la funzione di assicurare la provvista per specifiche esigenze dei figli, ritenute proporzionate al loro interesse, e ciò, evidentemente, tende a riverberarsi nello specifico apprezzamento che il giudice di merito deve compiere per stabilirne la ripartizione".

Inoltre, non essendo sempre configurabile a carico del coniuge affidatario della prole un onere di informazione e concertazione preventiva con l'altro in ordine alla determinazione delle spese cd "straordinarie", "rimane fermo che nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, spetta al giudice di merito verificare la rispondenza delle spese all'interesse del minore, commisurando l'entità della spesa rispetto all'utilità e alla sua sostenibilità in rapporto alle condizioni economiche dei genitori, salvo che l'altro genitore non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso". Principi generali che trovano applicazione anche in relazione alle "spese straordinarie dovute per il figlio maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, come incontestato nella specie".

Ragion per cui, scrive la Cassazione, "ferma ed incontestata la ricorrenza dell'interesse per la figlia a seguire il percorso universitario prescelto, la statuizione sulla commisurazione della partecipazione paterna e sulla relativa sostenibilità risulta essere fondata su una mera petizione di principio". "In assenza – proseguono i giudici - di una concreta quantificazione - sia pure in linea di massima - delle spese straordinarie ritenute apprezzabili ed accoglibili (che la Corte di merito individua solo per voci, non contestate, e non per presumibili esborsi), la valutazione sulla effettiva congruità delle commisurazione della quota delle stesse con le capacità reddituali del genitore che aveva prospettato la propria l'incapacità alle maggiori spese connesse alla frequenza della specifica università privata in questione, fuori sede - che notoriamente comporta costi complessivi più elevati di quelli a sopportarsi per l'università pubblica in sede - risulta svolta in termini astratti, senza nemmeno che venga in considerazione la possibilità per l'uno o per l'altro genitore di godere di sgravi o detrazioni fiscali o altro, atte ad alleggerire l'impegno economico e da considerare nella concreta determinazione".

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