Cassazione: domande riconvenzionali, non c’è obbligo di una nuova mediazione
Lo hanno chiarito le Sezioni unite, sentenza n. 3452 depositata oggi, affermando un principio di diritto
“La condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 sussiste per il solo atto introduttivo del giudizio e non per le domande riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete di valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al giudice di esperire il tentativo di conciliazione, per l’intero corso del processo e laddove possibile”. Lo hanno chiarito le Sezioni unite civili, con la sentenza n. 3452 depositata oggi, affermando un principio di diritto.
L’ordinanza di rinvio pregiudiziale aveva posto al “Massimo consesso” la seguente questione di diritto: “se sussista l’obbligo di provvedere alla mediazione nel caso di proposizione di una domanda riconvenzionale, ove la mediazione sia stata già ritualmente effettuata, anteriormente alla prima udienza, in relazione alla sola domanda principale”. Come visto, la Suprema corte ha escluso che il tentativo obbligatorio di conciliazione sia condizione di procedibilità della proposizione della domanda riconvenzionale e ha utilizzato i seguenti argomenti.
Per prima cosa, la Corte ricorda la finalità deflattiva dell’istituto. Per cui, la mancata sottoposizione della riconvenzionale (c.d. non eccentrica) alla condizione della mediazione obbligatoria, si spiega col fatto che essa “è stata già esperita senza esito positivo, prima del processo o nel termine concesso dal giudice, dall’attore: onde la condizione di procedibilità è soddisfatta e la lite pende ormai innanzi ad un giudice, che ne resta investito”. Pertanto, una volta che la domanda principale sia stata regolarmente proposta dopo che la mediazione abbia già fallito l’obiettivo, una nuova mediazione obbligatoria relativa alla domanda riconvenzionale non realizzerebbe, in ogni caso, il fine di operare un «filtro» al processo.
Nel caso invece di una riconvenzionale c.d. eccentrica alla lite, che dunque allarga l’oggetto del giudizio, a escludere la condizione di procedibilità concorrono il principio della certezza del diritto, che si oppone alla causazione di ulteriore contenzioso sul punto, e quello della ragionevole durata del processo.
Del resto, la Corte costituzionale ha chiarito che la mediazione obbligatoria non viola il diritto di azione, sancito dalla Costituzione, soltanto laddove risulti idoneo a produrre il risultato vantaggioso del c.d. effetto deflattivo, senza mai divenire tale da provocare un inutile prolungamento dei tempi del giudizio. E la Corte di giustizia Ue ha escluso che il tentativo obbligatorio di conciliazione confligga col diritto comunitario, “rimarcando come la conseguente restrizione ai diritti fondamentali degli utenti sia legittima, in quanto tesa al perseguimento di obiettivi di interesse generale e non sproporzionata rispetto a questi ultimi”.
La mediazione obbligatoria, scrive la Cassazione, svolge un ruolo proficuo “solo se non si presti ad eccessi o abusi”. La mediazione, più che accertamento di diritti, è “contemperamento di interessi”, con semplicità di forme e rapidità di trattazione, anche senza verifiche fattuali: è una sorta di “esperimento” finalizzato a un accordo negoziale, che va certamente tentato, nella prospettiva assunta dal legislatore, ma prima di intraprendere la causa in funzione di scongiurare la originaria iscrizione a ruolo, e che non avrebbe senso diluire e prolungare oltre misura.
In definitiva, conclude la Corte, “la mediazione obbligatoria ha la sua ratio nelle dichiarate finalità di favorire la rapida soluzione delle liti e l’utilizzo delle risorse pubbliche giurisdizionali solo ove effettivamente necessario”.