Droga, con spaccio vicino all’università non scatta l’aggravante
In caso di cessione o di offerta di sostanze stupefacenti in prossimità di un'area universitaria, l'estrema genericità dell'espressione «comunità giovanili», contenuta nell'articolo 80, comma 1, lettera g), del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309, può giustificare che in tale espressione sia ricompresa anche l'”università”, senza per questo ricorrere al ragionamento analogico. Tuttavia, perché possa concretamente contestarsi tale aggravante occorre avere riguardo alla nozione di “prossimità”, contenuta nella norma, dovendosi ritenere che con tale termine il legislatore ha individuato quelle aree esterne rispetto alle strutture tipizzate (scuole, caserme, comunità giovanili), che devono essere ubicate “nelle immediate vicinanze” e, proprio per questo, sono abitualmente frequentate dagli utenti istituzionali (studenti, militari, pazienti). Lo ha detto la Cassazione con la sentenza n. 27458 del 2017.
Un rapporto di “relazione immediata” - In altri termini, tra i luoghi indicati e le aree di prossimità deve sussistere un rapporto di “relazione immediata”, che in tal modo giustifica la previsione dell'aggravante, riferita alla oggettiva localizzazione della cessione o dell'offerta dello stupefacente alle persone che frequentano tali luoghi (nella specie, in cui il giudice aveva esclusa la sussistenza dell'aggravante in un'ipotesi di cessione di droga in area universitaria, la Corte, pur riconoscendo l'applicabilità in via interpretativa di tale aggravante anche alle università, ne ha esclusa la ravvisabilità in concreto sul rilievo assorbente della mancanza del requisito della “prossimità” della condotta incriminata rispetto all'università, giacché la contestazione si riferiva genericamente alla cessione della droga “in prossimità dell'area universitaria”, in senso molto ampio e aspecifico, in una città in cui la zona universitaria occupava interi quartieri; mentre per la pertinente contestazione si sarebbe dovuto apprezzare la “prossimità” della condotta incriminata, ossia la contiguità fisica e il posizionamento topografico dell'agente dedito allo spaccio o all'offerta in un luogo che consenta l'immediato accesso alle droghe delle persone che lo frequentano).
L'operatività della specifica circostanza aggravante - La Cassazione affronta il tema dell'ambito di operatività della circostanza aggravante prevista dall'articolo 80, comma 1, lettera g), del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309, configurabile nell'aver offerto o ceduto sostanze stupefacenti o psicotrope all'interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti. La finalità dell'aggravante, come è noto, risiede nell'esigenza di tutelare e preservare dal fenomeno della diffusione degli stupefacenti comunità notoriamente più aggredibili, perché frequentate da persone potenzialmente a rischio di fronte al pericolo droga, o per la giovane età o per particolari condizioni soggettive. Del resto, nelle suddette comunità il rilevato pericolo si manifesta particolarmente evidente, in quanto l'elevato numero delle persone presenti e la concentrazione delle stesse rappresentano le condizioni per un allargamento «a macchia d'olio» del contatto con la droga. Il tema affrontato dal giudice di legittimità riguarda l'applicabilità della fattispecie aggravata alla “università”, nonostante una indicazione letterale che non comprende questa specifica comunità giovanile. La Corte propende per la soluzione positiva, senza la necessità di dovere ricorrere a una vietata interpretazione analogica, evidentemente valorizzando il
proprium dell'aggravante e la assimilabilità dell'università alle (altre) comunità giovanili prese letteralmente in considerazione dalla norma.
La soluzione sembra convincente: depongono, infatti, nella direzione dell'applicabilità dell'aggravante de qua alla università ragioni di natura teleologica, ma anche inequivoche indicazioni letterali. Sotto il primo profilo, rileva la finalità della fattispecie, che risiede – come si è accennato - nell'esigenza di tutelare e preservare dal fenomeno della diffusione degli stupefacenti comunità notoriamente più aggredibili, perché frequentate da persone potenzialmente a rischio di fronte al pericolo droga, o per la giovane età o per particolari condizioni soggettive. Non è in effetti dubitabile che tale finalità ricorre in presenza di condotte di spaccio in zona universitaria, in ragione della ricorrenza nei confronti degli studenti, potenziali clienti, delle esigenze di particolare tutela di cui si è detto. Sotto il secondo profilo, anche a non considerare che la nozione di “scuola” non può non ricomprendere anche l'università, rileva assorbentemente il fatto che l'università è una (la) tipica “comunità giovanile” cui la norma si riferisce. Nello specifico, piuttosto, la Corte ha ritenuto inapplicabile l'aggravante per difetto del requisito della “prossimità”: mancava, infatti, nella fattispecie concreta, la positiva dimostrazione che il fatto incriminato si fosse effettivamente svolto nelle “immediate vicinanze” delle strutture universitarie, onde non poteva ritenersi dimostrato che si fossero realizzate le condizioni di “rischio” per i frequentatori della comunità poste alla base dell'aggravante. Ne deriva, quindi, una pacifica indicazione interpretativa che vuole contestabile l'aggravante in questione in caso di spaccio che interessi la comunità universitaria, purché però si dimostri in positivo la contiguità della condotta rispetto agli spazi universitari, frequentati dagli utenti istituzionali oggetto di particolare protezione.
Corte di Cassazione - Sezione VI penale - Sentenza 1° giugno 2017, n. 27458