Casi pratici

Effetti del verbale di "concordamento" dell'indennità tra il proprietario ed autorità espropriante

Espropriazione per pubblica utilità, occupazione acquisitiva, occupazione usurpativa, occupazione d'urgenza

di Lina Avigliano

la QUESTIONE
Nell'ipotesi di decreto di esproprio tardivo - quando peraltro sia già intervenuta la trasformazione irreversibile dell'area -, la presenza di un c.d. verbale di "concordamento" dell'indennità tra il proprietario dell'area e l'autorità espropriante, fa venire comunque meno il diritto alle somme spettanti a titolo di indennità?



La materia espropriativa solleva, da sempre, rilevanti problemi interpretativi e applicativi, qualunque sia il profilo che di volta in volta ci si propone di esaminare. Partendo dalla premessa secondo cui il diritto di proprietà del singolo è costituzionalmente garantito; che, di conseguenza, anche le eventuali limitazioni ammissibili rispetto a tale diritto devono essere costituzionalmente previste; che le limitazioni consentite, in ogni caso, sono sempre indennizzabili, appare utile, in questa sede, richiamare brevemente alcuni concetti.

Procedimento espropriativo

In via generale, l'espropriazione è quel procedimento ablatorio che, per esigenze di pubblico interesse, consente a una pubblica amministrazione o a un suo concessionario di conseguire coattivamente la proprietà di un bene appartenente a un soggetto privato. Ciò avviene mediante un provvedimento espresso, un articolato iter e il pagamento di un indennizzo al privato espropriato il cui interesse, nel bilanciamento con il superiore interesse pubblico, è stato sacrificato.
La disciplina normativa, un tempo estremamente frastagliata e stratificata, è oggi rinvenibile, fondamentalmente, nel Testo Unico di cui al D.P.R. n. 327/2001, e nella Carta Costituzionale (ove è contenuto, in particolare, il fondamento legittimante di tale procedimento autoritativo: l'art. 42, comma 3), anche se un ruolo più che mai decisivo deve essere riconosciuto alla giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione.
Imperativi, in materia, sono i principi secondo cui l'espropriazione di beni appartenenti ai privati è ammessa soltanto nei casi previsti dalla legge e nel rispetto delle procedure determinate dalle leggi; inoltre, deve essere assicurata al proprietario espropriato una somma di denaro (anch'essa determinata secondo criteri legali) a compensazione del sacrificio subìto.
Il procedimento de quo si articola in una serie di fasi, tra cui le più rilevanti sono rappresentate da: la sottoposizione del bene al vincolo preordinato all'esproprio, la dichiarazione di pubblica utilità, la determinazione provvisoria dell'indennità, il decreto di esproprio; quest'ultimo, deve essere adottato entro cinque anni dalla dichiarazione di pubblica utilità.
In estrema sintesi può affermarsi che, tutte le volte in cui il procedimento di espropriazione di un bene non si concluda con il trasferimento dello stesso, attraverso il decreto di espropriazione o con una cessione volontaria, si verifica una situazione di illegittimità.
Nell'ambito di un procedimento autoritativo è consentito l'inserimento di atti negoziali (un accordo, o una convenzione, o un concordato), da considerare veri e propri contratti, sebbene ad oggetto pubblico in quanto contrassegnati dall'intervento dell'Amministrazione quale titolare di poteri pubblicistici. A tal proposito già l'articolo 26 della legge n. 2359 del 1865 nell'ambito del procedimento ablativo prevedeva la possibilità per l'espropriante e l'espropriato di accordarsi sull'ammontare dell'indennità. Tuttavia l'accordo amichevole concerne solamente la pattuizione sul quantum dell'indennità e presuppone il completamento della procedura mediante l'adozione dell'atto conclusivo traslativo della proprietà  e ne consegue la sua caducazione e perdita di efficacia, qualora il procedimento non si concluda con l'atto di cessione o con il decreto di esproprio. L'accordo bonario sull'indennità spettante all'espropriando non comporta ipso facto la cessione volontaria del bene, pertanto, con l'accettazione dell'indennizzo l'entità stabilita diventa definitiva e non più contestabile in base all'articolo 12, comma 2 della legge n. 865 del 1971, solo in caso di successiva adozione del decreto di esproprio, in mancanza del quale la procedura espropriativa non si perfeziona e si ha la caducazione degli accordi e degli atti compiuti nella sua pendenza (Cass., 3 marzo 2020, n. 6487). In ogni caso secondo la più recente giurispridenza l'atto di "concordamento bonario", con il quale l'espropriato accetta l'offerta del concessionario della sola indennità di espropriazione e rinuncia a proporre opposizione alla stima e ad ogni altra azione giudiziaria che abbia attinenza all'occupazione oltre che all'espropriazione dell'immobile, non si estende all'indennita' di occupazione, in assenza di un atto normativo che imponga tale estensione, non potendo tale rinuncia avere effetti in relazione a situazioni future non ancora determinate o determinabili, come quelle derivate dalla prolungata detenzione delle aree non espropriate per le quali già si sia pagato il corrispettivo dell'ablazione anche se il decreto ablatorio non sia stato emesso (in tal senso Cass. 10 luglio 2019, n. 18539 e Cass. 27 settembre 2017, n. 22581).

Occupazione acquisitiva, usurpativa e d'urgenza

Può accadere che il citato iter difetti di alcune delle fasi che lo caratterizzano. In particolare, la realizzazione di un'opera pubblica potrebbe essere stata compiuta in assenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità - vuoi perché del tutto mancante, vuoi perché illegittima; oppure, l'opera pubblica potrebbe essere stata realizzata senza il rispetto della procedura,ma in presenza di un valido provvedimento formale di dichiarazione di pubblica utilità e in conformità dello stesso, compiendosi, dunque, in tale seconda ipotesi, una espropriazione per così dire "sostanziale" che, seppur nascente da un illecito della P.A., conduce alla trasformazione irreversibile del bene e alla realizzazione dell'opera pubblica.
Nel primo caso, si parla di occupazione usurpativa, nel secondo di occupazione acquisitiva.
La nota sentenza della Corte costituzionale, n. 204/2004, ha poi ulteriormente distinto fra occupazione usurpativa per così dire "pura" - ossia determinata dalla completa assenza di una dichiarazione di p.u. - e occupazione usurpativa "spuria" - in cui il titolo che legittimava la procedura espropriativa sia stato ritirato o annullato.
L'occupazione d'urgenza, invece, è, in linea di massima, consentita soltanto in casi eccezionali (ad esempio quando si debbano realizzare infrastrutture o insediamenti strategici, o quando la procedura investa più di cinquanta espropriandi, o ancora, de residuo, quando appunto l'avvio dei lavori richieda una speciale urgenza) e prevede che l'autorità espropriante - manifestata una rigorosa motivazione che giustifichi la deroga alla procedura ordinaria e renda indispensabile invece il ricorso a quella d'urgenza - determini l'indennità provvisoria e adotti un decreto di occupazione, ossia un atto autorizzativo con il quale procede all'occupazione stessa e che anticipa gli effetti del decreto finale di esproprio. Nella prassi, per la verità, si è di frequente assistito all'occupazione di aree a prescindere dall'emissione di decreti autorizzatori, in situazioni non esattamente corrispondenti a quelle che giustificano un provvedimento di urgenza, alla realizzazione dell'opera pubblica in carenza dei presupposti legittimanti. A tale istituto si estendono, sostanzialmente, le considerazioni e le regole valide per l'occupazione acquisitiva.
Alcune tesi interpretative avvicinano la figura dell'occupazione acquisitiva alla c.d. accessione invertita ex art. 938 del Codice civile: scaduti i termini entro cui doveva essere ultimata la procedura espropriativa, se il terreno su cui l'opera doveva essere realizzata risulti ormai irreversibilmente trasformato, e se il decreto di esproprio non è stato emesso, l'autorità espropriante acquisterebbe la proprietà dello stesso; di conseguenza, il proprietario espropriato avrebbe diritto a ottenere il risarcimento del danno subìto.
In realtà, la ricostruzione in termini di accessione invertita, oltre che apparire errata - molte essendo le differenze strutturali tra le due figure (tra cui, ad esempio, il fatto che l'occupazione acquisitiva prescinde dalla volontà contraria del proprietario-espropriato, mentre l'accessione invertita ne presuppone l'inerzia; nell'occupazione acquisitiva, inoltre, il trasferimento di proprietà consegue all'irreversibilità della trasformazione del bene, mentre nell'accessione invertita esso dipende da un provvedimento giudiziario) - non convince, poiché non è certamente possibile spingersi a legittimare, in virtù dell'applicazione analogica del suddetto istituto civilistico, il passaggio dalla proprietà privata alla proprietà pubblica del terreno su cui deve realizzarsi un'opera pubblica, pur in assenza di un corretto procedimento espropriativo, in quanto ammettendo ciò si violerebbe il principio di legalità.
D'altro canto, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha fortemente criticato tale orientamento giurisprudenziale italiano, imponendo, al contrario, che l'espropriante emetta, quantomeno, un legittimo provvedimento amministrativo di acquisizione coattiva sanante (oggi previsto espressamente dall'art. 43 del citato T.U.).
Occorre anche sottolineare che la materiale realizzazione dell'opera pubblica non è, di per sé, sufficiente a determinare l'occupazione appropriativa, persino nell'ipotesi di irreversibile trasformazione del bene espropriato. Irreversibile trasformazione che, per inciso, la Cassazione qualifica come illecito istantaneo con effetti permanenti.
Altra tesi ricostruttiva individua, invece, nella proposizione della richiesta di risarcimento danni da parte del privato una sorta di rinunzia implicita all'esercizio del proprio diritto di proprietà, a favore della P.A. che abbia occupato il bene, con applicazione analogica dell'art. 1070 del Codice civile (abbandono del fondo servente).

La sentenza delle Sezioni Unite 24 marzo 2009, n. 7035

Secondo il principio di diritto espresso dalle  Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza n. 7035 del 24 marzo 2009 alla domanda proposta dal proprietario di un immobile trasformato irreversibilmente, diretta al pagamento delle indennità per il periodo di occupazione legittima dello stesso immobile, non può opporsi la pretesa rinuncia al suo pagamento contenuta in un verbale in cui sono state concordate le indennità di espropriazione, tutte le volte in cui detto verbale sia divenuto inefficace per la tardiva emissione del decreto di esproprio assunto a sua condizione".
Con la pronuncia n. 7035 del 24 marzo 2009, le Sezioni Unite civili, pur tralasciando di compiere un'approfondita disamina della complessa materia delle espropriazioni e delle sue implicazioni e compenetrazioni tra diritto civile e diritto amministrativo, dopo aver brevemente fatto cenno ai profili di giurisdizione e aver puntualizzato alcuni aspetti specifici, enunciano un principio di diritto sintetico ma al contempo fondamentale. Ossia, premesso che, presupposto dei verbali di concordamento delle indennità spettanti al soggetto espropriato per il caso dell'espropriazione di un bene di sua proprietà è la regolare emissione del decreto di esproprio, non può invocarsi una pretesa rinuncia al pagamento delle suddette indennità per il periodo di legittima occupazione dell'immobile quando la tardiva emissione del decreto di esproprio abbia conseguentemente fatto cadere uno dei presupposti dell'intervenuto accordo negoziale, o, se si preferisce, a contrario, non può riconoscersi al verbale summenzionato - in assenza del tempestivo decreto di esproprio - effetto abdicativo del diritto di agire per il conseguimento dell'indennità da occupazione legittima.

Giurisdizione e tutela del privato

Le Sezioni Unite nella sentenza n. 7035/2009 non mancano di far menzione del profilo attinente alla giurisdizione, che è stato oggetto, nella materia di cui ci si occupa, di un acceso dibattito giurisprudenziale.
Senza entrare nel merito dell'annosa e complessa disputa, è sufficiente tener conto come, attualmente, risulti pacifico che la materia delle espropriazioni sia attratta nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo e che tale giurisdizione si estenda anche alle questioni conseguenti alle ipotesi di occupazione acquisitiva.
Residuano all'Autorità giudiziaria ordinaria soltanto le ipotesi dei comportamenti e dell'attività materiale completamente avulsi da un provvedimento formale; ad esempio, qualora manchi del tutto, ab origine, una dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.
Di talché, nei casi di occupazione acquisitiva - tutte le volte in cui non venga in rilievo un problema di annullamento degli atti della procedura espropriativa - e, a fortiori, per le controversie in tema di occupazione usurpativa, non ponendosi la necessità di un sindacato sull'esercizio del potere amministrativo, ben può il Giudice ordinario esercitare la propria giurisdizione. Ciò, soprattutto, se la controversia portata alla sua attenzione sia limitata, come nella situazione esaminata dalla sentenza in commento, al diritto all'indennità.
Nei casi di occupazione acquisitiva, peraltro, si distingue a seconda che si sia verificata o meno la trasformazione irreversibile del bene: se è avvenuto, il rimedio accordato al proprietario-espropriato è quello del risarcimento del danno; in caso contrario, il privato può agire in via petitoria o possessoria al fine di ottenere la restituzione del bene.
Decisiva in tal senso è stata la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 1464/1983, laddove ha sancito che, quando il bene occupato sia stato radicalmente modificato e sia scaduto il termine di occupazione legittima senza che nel frattempo sia intervenuto il decreto di esproprio, si realizzano l'acquisizione del bene in capo alla P.A., da una parte, e il sorgere del diritto del proprietario-espropriato al risarcimento, dall'altra.

Indennità di occupazione e verbale di concordamento

Il caso sottostante la questione rimessa alle Sezioni Unite e decisa nella sentenza n. 7035/2009 si caratterizza proprio come un'occupazione acquisitiva, a seguito della mancata emissione nei termini del decreto di esproprio in relazione al terreno occupato in via d'urgenza e della conseguente irreversibile trasformazione del bene. Il privato che finisce per soccombere di fronte a un provvedimento coattivo di esproprio deve, per legge, ottenere un indennizzo. Nel caso di specie, il proprietario-espropriato era addivenuto a un c.d. atto di concordamento, ossia un accordo negoziale con cui si dispone in relazione alle indennità.
Tuttavia la regolare conclusione del procedimento - che prevede la tempestiva emissione del decreto di esproprio entro cinque anni dalla avvenuta dichiarazione di pubblica utilità - è, persino a prescindere da una formale esplicitazione in tal senso, condizione di efficacia dell'eventuale atto volto a concordare l'indennità di espropriazione dovuta. Anche in assenza di enunciazione contrattuale, dicevamo, se si considera che l'emissione del decreto di esproprio è condizione prevista tassativamente dalla legge per la regolarità della procedura espropriativa, dunque elemento presupposto e imprescindibile che assume valenza giuridica in quanto tale e che, pertanto, determina il contenuto stesso dell'accordo e sorregge l'equilibrio economico del medesimo.
Se viene a mancare il presupposto che ha dato origine al verbale di concordamento e alla relativa contrattazione - il tempestivo decreto di esproprio - viene conseguentemente a perdere di efficacia il verbale medesimo, e dunque il complessivo assetto negoziale con esso disciplinato.
Le Sezioni Unite pervengono a una importante conclusione: che è giuridicamente irrilevante - dal punto di vista del diritto di proprietà e delle conseguenze che lo coinvolgono - l'emissione del decreto di esproprio successivamente alla scadenza dell'occupazione legittima, da una parte in ragione dell'impossibilità di trasferire ciò che è già entrato nella sfera patrimoniale dell'espropriante, dall'altra in ragione dell'irreversibile trasformazione del bene intervenuta medio tempore, per cui tale decreto costituisce un atto inutile.
Non solo. Con la pronuncia in commento, la Cassazione chiarisce che l'assetto negoziale delineato attraverso i verbali di concordamento delle indennità di esproprio ha una sua ragion d'essere se e in quanto la procedura, di cui l'emissione del decreto di esproprio costituisce elemento imprescindibile, sia svolta regolarmente. Venendo meno tale elemento, l'accordo risulta privo del fondamento su cui si regge e destituito di ogni ragionevolezza. Per tale motivo, il verbale di concordamento viene a caducarsi ed è inefficace tra le parti.
Peraltro, diversamente ragionando, il privato risulterebbe, inaccettabilmente, del tutto privo di tutela e il suo diritto di proprietà eccessivamente compresso.

Proroga dei termini di scadenza delle occupazioni d'urgenza ed efficacia retroattiva del verbale di concordamento

La possibilità di proroga ex lege dei termini di scadenza delle occupazioni d'urgenza, di cui alla legge 8 agosto 1992, n. 359, era stata prevista dal legislatore nell'attesa di approvare la nuova disciplina delle indennità di esproprio e per "tamponare" i ritardi delle amministrazioni. Viene esclusa, però, l'applicazione di tale disciplina nel caso di quelle occupazioni per le quali sia già decorso il termine nel momento di entrata in vigore della legge e, secondo quanto affermato in giurisprudenza, nel caso in cui si sia verificata l'irreversibile trasformazione del bene occupato e la conseguente acquisizione dello stesso in capo all'espropriante.
L'art. 3, comma 3, del D.L. n. 300/2006, inoltre, prevedeva la conservazione di efficacia degli eventuali verbali di concordamento e di rinuncia a qualunque pretesa connessa alla procedura di esproprio, «a prescindere dall'emanazione del decreto di esproprio». Su tali basi, sulla presunta proroga retroattiva dell'occupazione e sull'esistenza di un verbale di concordamento - in virtù del quale l'espropriato rinunciava all'indennità spettantegli per l'avvenuta occupazione legittima -, l'amministrazione convenuta in giudizio negava il diritto del soggetto espropriato alla suddetta indennità e ad agire in giudizio;per contro, il privato espropriato riteneva che, scaduti i termini dell'occupazione legittima senza che fosse intervenuto il decreto di esproprio, perduta la proprietà dei terreni a causa dell'irreversibile trasformazione degli stessi, fossero da ritenere inefficaci innanzitutto il verbale di concordamento e, in secondo luogo, le proroghe legislative dell'occupazione, successivamente intervenute; contestava, infine, la possibile reviviscenza degli effetti dell'accettazione dell'indennità offerta e della rinuncia a ulteriori azioni indennitarie contenute nel verbale.
A tal riguardo, la sentenza in commento tiene conto dei giudizi di legittimità costituzionale sollevati rispetto all'art. 3, comma 3 del D.L. n. 300/2006, per violazione dell'art. 3, secondo comma, dell'art. 42, secondo e terzo comma, dell'art. 111, primo e secondo comma, Cost., nonché per violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dell'art. 6, primo comma, della Convenzione medesima.
In particolare, fa propri i principi espressi dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 29/2009, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 3,cit. Secondo la Corte, il proprietario-espropriato decide di concordare l'indennità a seguito di una valutazione di convenienza che va riferita a quel momento specifico della procedura e che comporta anche l'eventuale inefficacia di quanto concordato qualora la procedura non sia regolarmente conclusa nei termini; pertanto, la norma censurata è illegittima poiché viola l'equilibrio sinallagmatico del negozio e si pone in contrasto con il principio di affidamento ingenerato nel privato. L'eventualità che un simile accordo possa considerarsi valido ed efficace anche oltre la scadenza dei termini per la conclusione della procedura espropriativa dovrebbe, semmai, essere prevista dalla legge al momento dell'incontro delle volontà tra le parti e non può di certo essere imposta con effetto retroattivo da una norma successiva.

Considerazioni conclusive

In conclusione, una volta affermato che è consentito l'inserimento di atti negoziali nell'ambito di un procedimento autoritativo, da considerare veri e propri contratti, seppure ad oggetto pubblico, va rilevato che detti negozi di diritto pubblico, stipulati per la sola determinazione dell'indennità di espropriazione tra il privato e la pubblica amministrazione espropriante, sono condizionati alla conclusione del procedimento di espropriazione e restano senza effetto se il procedimento non si perfeziona nelle forme prescritte dalla legge. L'elaborazione giurisprudenziale, nella sua massima espressione di autorevolezza, ha contributio a risolvere la questione giuridica sollevata, oggetto di analisi, fissando un principio chiaro che ha il pregio di sciogliere alcuni nodi presenti nell'articolata  materia delle espropriazioni.

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