Lavoro

Equa retribuzione, la giurisprudenza ora guarda agli appalti: eterogenesi dei fini?

Perimetro dei servizi, prestazione lavorativa, CCNL di riferimento: per il committente sono ormai valutazioni obbligate per evitare di incorrere in ipotesi di responsabilità solidale

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di Alessia Consiglio e Andrea Ceppitelli*

È notizia nota come, negli scorsi mesi, sia stato al vaglio del Parlamento italiano un disegno di legge per stabilire un “ salario minimo ”, ossia un minimo salariale al di sotto del quale nessun lavoratore subordinato, assunto in Italia, avrebbe dovuto essere retribuito.

Note sono anche le sorti che tale disegno di legge ha avuto: con il parere negativo espresso, tra gli altri, dallo CNEL, a detta del quale “il sistema di contrattazione collettiva di livello nazionale di categoria supera più o meno ampiamente [le] soglie retributive orarie” delle ipotetiche tariffe legali, il disegno si è arenato.

Questa vicenda, se da un lato ha lasciato inalterato il paradigma secondo cui è la contrattazione collettiva, non le camere del Parlamento, la sede in cui i minimi retributivi vengono determinati, dall’altro ha dato nuovo slancio al ruolo della giurisprudenza nel valutare, in sede giudiziale, che essi siano conformi agli standard di sufficienza e adeguatezza della retribuzione ex art. 36 della Costituzione.

È un cambio di paradigma rispetto al tradizionale approccio di “ self-restraint ” finora adottato nei confronti dell’autonomia collettiva.

Per il giudice non si tratta più di verificare quali siano i minimi tabellari stabiliti dal CCNL applicato dal datore di lavoro, e se essi si discostino o meno da quelli definiti dai contratti collettivi stipulati dalle oo. s.s. maggiormente rappresentative nei rispettivi settori di appartenenza. Si registrano decisioni in cui il giudice del lavoro è giunto a sindacare i minimi tabellari negoziati da tali sigle sindacali, la cui conformità al parametro costituzionale resta sì presunta e avvalorata dall’intervento delle parti sociali con maggiore rappresentatività, ma non può darsi per scontata (v. Cass. 2 ottobre 2023, n. 27722; v. App. Milano, 3 gennaio 2024, n. 960).

Un nuovo approccio si registra, inoltre, in materia di appalti.

In un recente caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Milano, e deciso con sentenza dell’11 dicembre 2023, per verificare la congruità della retribuzione versata ai soci-lavoratori di una cooperativa appaltatrice impiegati in un appalto di servizi, il giudice ha valorizzato il dettato dell’art. 3 della Legge n. 142/2001 che si applica alle cooperative, a norma del quale la retribuzione che esse versano ai relativi soci-lavoratori deve essere “ comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe ”, dalla contrattazione collettiva nazionale “ del settore o della categoria affine ”.

Sulla base della propria interpretazione di tale norma, il Tribunale ha censurato la scelta effettuata dalla cooperativa appaltatrice di applicare ai lavoratori adibiti all’appalto il CCNL Multiservizi dalla stessa generalmente applicato a tutti i propri dipendenti: tale contratto collettivo non è stato ritenuto “affine all’oggetto dello specifico appalto considerato, e alle attività svolte dai lavoratori impiegati per realizzarlo. Il CCNL individuato per stabilire la retribuzione adeguata e sufficiente è stato dunque un altro, ovvero il CCNL Logistica.

A conclusioni analoghe era già giunto il Tribunale di Genova nel 2022, il quale in un caso analogo ha stabilito, nei confronti di un’altra cooperativa, che “quando i (…) lavoratori vengano impiegati in esecuzione di un appalto, è all’oggetto di quest’ultimo che occorre guardare per identificare il settore di appartenenza”, ed “è dunque corretto individuare il CCNL di categoria sulla base del contenuto dei servizi forniti” (Trib. Genova, 431/2022).

Queste pronunce evidenziano un ulteriore elemento di complessità per il committente, che nel compiere la selezione e verifica dei relativi appaltatori – stante il regime di solidarietà passiva nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto , stabilito dall’art. 29 L. n. 273/2003 – non può prescindere dal verificare che essi versino ai relativi dipendenti la corretta retribuzione che è loro dovuta.

Sotto questo aspetto, l’interpretazione fornita dai giudici di Genova e Milano sembra porsi in discontinuità con la semplificazione ricercata dai più recenti interventi legislativi in materia di appalti: pensiamo alla “ Legge Biagi ” (D. Lgs. n. 276/2003) che ha rimosso il vincolo della parità di trattamento retributivo tra i dipendenti del committente e quelli impiegati nella filiera dell’appalto (previsto dall’abrogata L. n. 1369/1960), rendendo possibile l’applicazione lungo la filiera di CCNL diversi; od alla “ Legge Fornero ” (L. n. 92/2012), che ha introdotto la possibilità di derogare alla responsabilità solidale tra committente e appaltatore nell’ambito di contratti collettivi nazionali di categoria.

Con il mutato scenario delineato dalle sentenze in esame, diviene ancora più importante per le imprese e per i professionisti che le assistono selezionare con estrema cautela gli appaltatori, specialmente se cooperative. La verifica dovrà avere ad oggetto anche l’effettivo perimetro dei servizi dati in appalto, la prestazione lavorativa richiesta ai lavoratori che vi sono impiegati, il CCNL di riferimento per valutare il rispetto del parametro costituzionale.

È un passaggio ormai obbligato, questo, per evitare ad una impresa committente di incorrere in ipotesi di responsabilità solidale.

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*A cura di Alessia Consiglio e Andrea Ceppitelli, Associate e Counsel - Studio legale Nunziante Magrone

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