Famiglia

Eredità digitale: il confine "valicabile" individuato dai Tribunali Italiani

Ad un anno dalla prima storica sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano, qual è il bilanciamento tra diritto di riservatezza del defunto e la successione nei rapporti digitali, alla luce anche delle recenti pronunce del Tribunale di Roma e del Tribunale di Bologna

di Giorgio Troja*

Il commento tenta di compiere una summa delle pronunce in tema di "eredità digitale" e sul bilanciamento tra diritto alla riservatezza e la successione nei rapporti digitali nel panorama italiano.

L' ordinanza cautelare del Tribunale di Milano del 9 febbraio 2021 , per prima si è soffermata su un'analisi più della normativa relativa al trattamento di dati personali che della disciplina delle successioni, riconoscendo ai dati facenti capo al defunto e custoditi all'interno di un account allo stesso riconducibile, la natura di beni oggetto di devoluzione mortis causa. Allo stesso modo le pronunce dei Tribunali di Bologna e di Roma hanno chiarito il dibattito, consolidando l'orientamento espresso dal Tribunale meneghino.

Le questioni sottoposte davanti alle tre differenti autorità giudiziarie, hanno il loro comun denominatore nell'aver sollevato davanti ai Tribunali di Milano, Bologna e Roma il bilanciamento tra il diritto dei familiari ad accedere ai dati dell'account del congiunto defunto, sulla base di un interesse meritevole di tutela e il diritto alla riservatezza del defunto opposto dalla medesima convenuta Apple Italia srl.

La problematica approdata in Italia solo ultimamente, è stata in realtà, già sollevata in ambito europeo, in particolare davanti la Suprema Corte tedesca (BGH, 12 luglio 2018, n. 183/17), per quanto concerne i profili successori e l'accesso ai beni digitali ereditari, ovvero dati personali, del defunto contenuti all'interno dell'account di Facebook ed ha condotto la Corte a stabilire che i rapporti giuridici relativi ai beni immateriali sono patrimonio del de cuius e sono suscettibili di trasmissione ereditaria.

Anche in Italia la questione ha animato il dibattito giurisprudenziale, con una soluzione che ha assunto sfaccettature differenti nei tre giudizi, ma che comunque può essere esaminata in maniera unitaria, riscontrandosi i medesimi fondamenti giuridici alla base delle pronunce che hanno segnato la prevalenza del diritto di accesso del terzo a determinate condizioni.

Il percorso logico-giuridico intrapreso tanto dal Tribunale di Milano quanto da quello di Roma e di Bologna prende le mosse dall'articolo 2 terdecies del D.lgs 196/2003 e dall'articolo 15 del GDPR, per giustificare l'accesso ai dati digitali del defunto e per ritenere infondate le richieste della Apple Italia srl.

L'art. 2-terdecies, 1° comma, prevede: "I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell'interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione". La disposizione consente, dunque, di ottenere, ex art. 15 GDPR l'accesso a tutte le informazioni trattate dal titolare del trattamento ovvero a tutti i beni digitali contenuti all'interno dell'account del defunto, allo stesso riconducibili e ivi memorizzati.

Legittimati ad avanzare tale richiesta sono tutti coloro che vantano un interesse proprio, o che agiscono a tutela dell'interessato, o in qualità di mandatari o ancora per ragioni familiari meritevoli di protezione.

Le "ragioni familiari meritevoli di protezione", possono essere varie ed essere ricondotte come nel caso deciso dal Tribunale di Roma del 10 febbraio 2022 "dall'avere accesso all'account Apple del marito al fine di recuperare foto e filmati di famiglia destinati a rafforzare la memoria del tempo vissuto insieme ed a conservare tali immagini a beneficio delle figlie in tenera età" ovvero come nel caso del Tribunale di Bologna del 25 novembre 2021 "nella possibilità di recuperare parte delle immagini relative all'ultimo periodo di vita del giovane figlio" o ancora come nel caso trattato dal Tribunale di Milano del 9 febbraio 2021 "al fine di realizzare un progetto che, anche attraverso la raccolta delle sue ricette, essendo stato uno chef, possa tenerne viva la memoria".

Nel caso di specie, dunque, l'unica ragione ostativa all'accoglimento della richiesta di accesso ai dati personali da parte degli eredi avrebbe potuto essere rappresentata dalla dichiarazione scritta dall'interessato di voler vietare in modo inequivocabile, specifico, libero e informato ex art. 2-terdecies, comma 2 e 3, del D.Lgs. n. 196/2003, l'esercizio di diritti di cui agli artt. da 15 a 22, Reg. UE n. 2016/679 ai soggetti di cui al comma 1.

Siffatta dichiarazione non è stata però mai sottoscritta, sicchè come ricordato dal Tribunale di Roma "la mera adesione alle condizioni generali di contratto, in difetto di approvazione specifica delle clausole predisposte unilateralmente dal gestore non appare soddisfare i requisiti sostanziali e formali espressi dalla norma richiamata, tenuto conto che le pratiche negoziali dei gestori in cui le condizioni generali di contratto si radicano non valorizzano l'autonomia delle scelte dei destinatari.".

Il Tribunale di Milano, ha inoltre respinto le censure prospettate dall'Apple srl in merito all'accesso, riconducibili a specifiche richieste da soddisfare in un eventuale provvedimento giudiziario, e cosi sintetizzabili:
1) Che il defunto era il proprietario di tutti gli account associati all'ID Apple;
2) Che il richiedente è l'amministratore o il rappresentante legale del patrimonio del defunto;
3) Che, in qualità di amministratore o rappresentante legale, il richiedente agisce come "agente" del defunto e la sua autorizzazione costituisce un "consenso legittimo", secondo l' E.C.P.A.;
4) Che il tribunale ordina a Apple di fornire assistenza nel recupero dei dati personali dagli account del defunto, che potrebbero contenere anche informazioni o dati personali identificabili di terzi.

Orbene, con riferimento alle richieste della società titolare del trattamento, il Tribunale meneghino ha osservato che: solo la società resistente fosse a conoscenza delle informazioni relative al primo punto; che nell'ordinamento italiano non esiste la figura dell'"amministratore o rappresentante legale del patrimonio del defunto" né, tantomeno, quello di "agente" del de cuius; e che la disciplina legislativa italiana non richieda, in alcun modo, né l'autorizzazione di un "agente" del defunto all'accesso né la presenza di un "consenso legittimo" secondo un atto normativo di un ordinamento giuridico diverso. Infine l'autorità giudiziaria, ha chiarito come appaia del tutto illegittima la pretesa avanzata dalla società resistente di subordinare l'esercizio di un diritto, riconosciuto dall'ordinamento giuridico italiano, alla previsione di requisiti del tutto estranei alle norme di legge che disciplinano la fattispecie in esame.

_____


*A cura dell'Avv. Giorgio Troja, Studio Legale Cimino & Partners

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©