Professione e Mercato

Esame avvocato/12: il caso penale, c'è l'aggravante nell'omicidio preceduto da stalking?

Il decimo caso con l'approfondimento giurisprudenziale per affrontare lo scritto penale

di Nicola Graziano

Con una recente decisione la Suprema Corte di Cassazione affronta il tema del rapporto tra la fattispecie di omicidio aggravato e lo stalking che culmina, appunto con la soppressione della vita della vittima, stabilendo che c'è l'aggravante dell'omicidio e lo stalking non trova autonoma applicazione. Così la Corte di Cassazione muta l'unico precedente in materia che contrariamente a quanto oggi statuito aveva escluso il rapporto di specialità e di assorbimento tra le sopra dette fattispecie .
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Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 30931 depositata in data 6 novembre 2020 ancora una volta esemplifica un possibile esercizio su di un tema classico che sta alla base della preparazione alla prova di Diritto Penale in cui si snoda l'Esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della Professione Forense.
La questione affrontata, infatti, implica la conoscenza della complessa tematica del concorso apparente di norme ovvero del principio di specialità di cui all'articolo 15 c.p. e del reato complesso di cui all'articolo 84, comma I, c.p.
Nella fattispecie esaminata gli Ermellini, così disattendendo l'unico precedente in tema, hanno ritenuto che tra il reato di omicidio aggravato di cui all'articolo 576, comma I, n. 5.1, c.p. e il reato previsto e punti dall'articolo 612 bis, c.p. sussiste un concorso apparente di norme ex articolo 84, comma I, c.p. secondo una motivazione di cui in seguito si darà conto.
In tal caso l'aspirante alla toga è chiamato, partendo dal caso specifico, ad affrontare tematiche complesse del codice penale così avendo la possibilità di un inquadramento in parte teorica che può certamente essere prova della piena conoscenza e padronanza di istituti giuridici non certamente semplici e in quanto tali concreta dimostrazione di preparazione e impegno nello studio.

1) La sentenza in esame: Corte Suprema di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza del 6 novembre 2020 n. 30931


2) La questione giuridica
Se tra il reato di omicidio aggravato di cui all'articolo 576, comma I, n. 5.1, c.p. e il reato previsto e punito dall'articolo 612 bis, c.p. sussiste un concorso apparente di norme ex articolo 84, comma I, c.p. ovvero se il delitto di atti persecutori non può ritenersi assorbito nella fattispecie di omicidio aggravato non sussistendo una relazione di specialità tra le due fattispecie delittuose.

3) Riferimenti normativi: codice penale, articoli 15 , 84, comma I, 576, comma I, n. 5.1 e 612 bis .

4) Le possibili interpretazioni
La esatta delimitazione della questione giuridica
Il caso di cui alla sentenza in esame è il seguente: Tizio veniva condannato per il delitto di omicidio in danno di Caia, aggravato ai sensi dell'articolo 576, comma I, n. 5.1., c.p.
Nel successivo processo si contestava a Tizio il delitto di cui all'articolo 612 bis, commi I e II, c.p. perché poneva in essere nei confronti di Caia, sua ex compagna, ripetuti comportamenti, assillanti e violenti, ingenerando in lei il timore per l'incolumità propria e dei propri congiunti e conviventi, così incidendo sul relativo modus vivendi e sul complessivo stato psichico.
Data la coincidenza fattuale e spazio-temporale dei fatti accertati come costituenti aggravante del tentato omicidio e contestati come fatti costituenti la fattispecie autonoma di reato di atti persecutori, si pone la questione se il delitto d'omicidio aggravato ai sensi dell'articolo 576, comma I, n. 5.1., c.p. in relazione al quale Tizio è stato definitivamente condannato, assorba o meno il delitto di atti persecutori, pure autonomamente contestato.

La tesi che nega una ipotesi di assorbimento
Secondo una prima tesi (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza n. 20786 del 14 maggio 2019) va negato l'assorbimento del delitto di atti persecutori in quello di omicidio aggravato ex articolo 576, comma I, n. 5.1., c.p. non sussistendo una relazione di specialità tra le due fattispecie di reato.
La tesi per la quale il delitto d'omicidio aggravato ai sensi dell'articolo 576 c.p., comma I, n. 5.1 assorbe il delitto di atti persecutori secondo la tesi della Cassazione sopra citata è errata. Non può essere richiamata la disposizione normativa dell'articolo 84, comma I, c.p. che disciplina il reato complesso, perché va considerato che essa regola il caso dell'interferenza di fattispecie e specificamente dei profili oggettivi del tipo normativo. La menzionata disposizione prescrive che non si applicano le regole sul concorso, reale, di reati se la legge considera "come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti, di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato".
L'attenzione normativa è riposta sui fatti e per tali devono intendersi, posto che il rapporto è tra fattispecie e quindi tra descrizioni di accadimenti umani, i profili oggettivi e non anche la relazione eminentemente soggettiva tra l'accadimento e il suo autore.
La scelta del legislatore di porre l'accento, nella costruzione dell'aggravante in esame, sulla mera identità del soggetto autore sia degli atti persecutori che dell'omicidio e non sulla relazione tra i fatti commessi non può ritenersi frutto di una casuale modalità espressiva, utilizzata, senza una finalità precisa, in luogo di quella del tipo "se il fatto è commesso in connessione o in occasione". Non può quindi leggersi la disposizione come se avesse voluto dire che il delitto di omicidio è aggravato se commesso contestualmente o in occasione della commissione degli atti persecutori.
Del resto, è sufficiente volgere l'attenzione alla disposizione aggravatrice immediatamente precedente ove il legislatore ha optato per una formula lessicale significativamente diversa, orientata sui fatti, sulle condotte lesive. In essa il disvalore aggiuntivo è rivelato dall'essere il delitto di omicidio compiuto "in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli artt. 572, 600bis, 600ter, 609bis, 609quater e 609octies c.p." e quindi dal vincolo di connessione sia pure occasionale che, come si è avuto modo di precisare, fa mantenere autonomia di concorso reale tra i reati in gioco salvo che esso si risolva nella contestualità, e quindi nella sostanziale unità spazio temporale, delle condotte.
In riferimento alla previsione che ora è d'interesse, sostengono gli Ermellini, il disvalore aggiuntivo di cui si colora il fatto dell'omicidio è invece posto in diretta derivazione dall'essere l'autore colui che prima, non importa quando, ha oppresso la vittima con atti persecutori, e ciò perché in tal modo riceve una deplorevole e particolare spinta criminosa proprio dal contesto di sopraffazione in cui si è strutturata la relazione con la vittima.
L'elemento aggravatore è dunque di natura soggettiva, non appartiene alla condotta e alle sue modalità di commissione e quindi non si pone al centro di un rapporto di interferenza tra le fattispecie. Tra esse v'è una relazione di piena compatibilità perché la commissione degli atti persecutori, reato di natura abituale e a condotta tipizzata, non involge in alcun modo la commissione del fatto di omicidio, reato di natura istantanea e causalmente orientato.
Si sostiene, infatti, che gli atti persecutori si sostanziano in minacce e molestie che non ledono l'integrità fisica o il bene della vita, mentre il delitto di omicidio ben può prescindere da condotte di tal tipo e si qualifica soltanto per l'evento tipico della morte, del tutto diverso da quelli propri dell'altra fattispecie. Ne consegue che, siccome nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall'art. 15 c.p., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, non si verifica l'assorbimento del delitto di atti persecutori in quello di omicidio aggravato, in assenza di una qualsivoglia affinità strutturale tra le fattispecie.
In senso contrario non depone la clausola di riserva, o di sussidiarietà, espressa in esordio dall'articolo 612 bis c.p. con la precisazione del "salvo che il fatto non costituisca più grave reato", perché essa, al di là della questione circa una sua reale ed effettiva utilità, non può aver riguardo al rapporto con il delitto di omicidio, la cui natura istantanea lo pone al di fuori dell'area di possibile interferenza con il reato abituale di atti persecutori.

La tesi che individua una ipotesi di assorbimento
L'articolo 576, comma I, n. 5.1, c.p. deve essere considerato a tutti gli effetti un reato complesso in senso stretto ai sensi dell'articolo 84, comma I, c.p., norma che esclude l'applicazione delle disposizioni sul concorso di reati "quando la legge considera … come circostanze aggravanti, di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato".
E' ben vero che l'articolo 576, comma I, n. 5.1, c.p. dà rilevanza al fatto che l'omicidio sia commesso dall'autore del delitto previsto dall'articolo 612 bis c.p. nei confronti della persona offesa, mentre la previsione di cui al precedente n. 5 considera come aggravante il fatto che l'omicidio si stato commesso in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli articolo 572, 600-bis, 600-ter, 609-bis, 609-quater e 609-octies c.p.
Tuttavia l'infelice e incerta formulazione della norma non può giustificarne una interpretazione soggettivistica, incentrata sul tipo di autore, senza considerare che la pena si giustifica non per ciò che l'agente è, ma per ciò che ha fatto.
In altri termini, ciò che aggrava il delitto di omicidio non è il fatto che esso sia commesso dallo stalker in quanto tale, ma che esso sia stato preceduto da condotte persecutorie che siano tragicamente culminate, appunto, con la soppressione della vita della persona offesa.
Se è pur vero che possono esistere condotte persecutorie che non sfociano nell'omicidio della vittima e, d'altra parte, omicidi che non sono anticipati da condotte di tal tipo, tuttavia, come anche emerge dai lavori parlamentari, l'introduzione dell'articolo 576, comma I, n. 5.1. c.p. la volontà del legislatore è proprio quella di reprimere un allarmante fenomeno sociale che vedeva in costante aumento il numero di omicidi consumati ai danni delle vittime di atti persecutori, obiettivo è stato perseguito con l'introduzione di una specifica aggravante che comporta la pena dell'ergastolo.
La diversa conclusione conduce ad una interpretazione abrogans dell'articolo 84, comma I, c.p., che non appare rispettosa del principio del ne bis in idem sostanziale, posto a fondamento delle disciplina del reato complesso, il quale vieta che uno stesso fatto venga addossato giuridicamente due volte alla stessa persona, nei casi in cui l'applicazione di una sola norma incriminatrice assorba il disvalore del suo intero comportamento.
Seguendo, infatti, la tesi criticata gli atti persecutori sono addebitati all'agente due volte: come reato autonomo ex articolo 612-bis c.p. e come specifica aggravante dell'omicidio, sebbene il disvalore della condotta dia già integralmente ed adeguatamente considerato da questa ultima norma che commina la pena dell'ergastolo.

Il principio di diritto (Cassazione n. 30931 del 6 novembre 2020)
Tra gli articolo 576, comma I, n. 5.1, c.p. e l'articolo 612-bis c.p. sussiste un concorso apparente di norme ai sensi dell'articolo 84, comma I, c.p. e, pertanto, il delitto di atti persecutori non trova autonoma applicazione nei casi in cui l'omicidio della vittima avvenga al culmine di una serie di condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall'agente ne confronti della medesima persona offesa.


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