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Esame d'avvocato: il caso di penale, attività sollecitata al pubblico ufficiale e prestazione offerta dal privato nella corruzione

di Nicola Graziano

Con una recente decisione la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, (sentenza del 28 dicembre 2021 n. 47216) partendo dal rilievo che poiché la corruzione costituisce un accordo sinallagmatico tra il pubblico ufficiale e il privato avente a oggetto il mercimonio su un atto dell’ufficio, ha ritenuto che è assolutamente necessario verificare se e in che limiti ciò importi la sussistenza di una proporzione tra le prestazioni contrapposte, ossia se tratto caratteristico della corruzione (e anche della istigazione alla corruzione) sia o no l’elemento della retribuzione.

A – IL CASO

Tizio, nelle prossimità delle festività natalizie, faceva recapitare presso la Stazione dei Carabinieri, al Luogotenente Caio ed al Maresciallo Sempronio due cestini natalizi, mentre analogo cesto faceva recapitare al Maresciallo Mevio presso la personale residenza, omaggi che venivano rifiutati dai destinatari.

Tizio, si recava presso il proprio legale, esponendo le proprie preoccupazione in merito alle conseguenze del rifiuto del cesto natalizio contenente cibi e bevande di modico valore (inferiore a 100 Euro), pur rappresentando che non sussistevano ragioni di riconoscenza né di affetto per il regalo ed anzi precisava che i suddetti destinatari del dono natalizio erano impegnati in indagini nei suoi confronti.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, dopo aver inquadrato giuridicamente la fattispecie delittuosa in cui potrebbe incorrere il proprio assistito, rediga motivato parere, soffermandosi in particolare sulla rilevanza penale dell’offerta, per l’esercizio delle funzioni, di cesti di generi alimentari di modico valore non dovuti agli appartenenti alla polizia giudiziaria.

 

1) La sentenza in esame: Corte Suprema di Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza del 28 dicembre 2021 n. 47216 (si veda per il testo della sentenza e il commento Guida al Diritto n. 8/2022)

 

2) La questione giuridica

“Se c osì come per il reato di corruzione ex articolo 318 c.p., anche per quello di istigazione alla corruzione ex articolo 322, comma I, c.p., l’irrisorietà dell’utilità oggetto della condotta istigatoria rispetto alla rilevanza dell’atto amministrativo compiuto ovvero da compiersi, rileva sul piano probatorio dell’esistenza del nesso sinallagmatico tra la condotta e il risultato che l’agente vorrebbe perseguire, con la conseguenza che l’assoluta sperequazione tra l’utilità e l’ipotizzata attività pubblica posta al servizio del privato possa escludere l’offensività della condotta

 

3) Riferimenti normativi: art. 318, c.p.; art. 319 c.p.; art. 322 c.p.

 

B – LA SOLUZIONE DEL CASO

4) La fattispecie della corruzione impropria di cui all’art. 318 c.p. ed i rapporti con la istigazione alla corruzione di cui all’art. 322 c.p.

L’art. 318 c.p. ha assunto una nuova configurazione per effetto dell’art. 1 della Legge 6 novembre 2012, n. 190, che ne ha mutato profondamente il testo nonché la rubrica. In effetti la riforma del 2012 ha eliminato il riferimento al compimento di atti, spostando l’accento sull’esercizio delle funzioni o dei poteri del pubblico funzionario, permettendo così di perseguire il fenomeno dell’asservimento della pubblica funzione agli interessi privati qualora la dazione del denaro o di altra utilità è correlata alla generica attività, ai generici poteri ed alla generica funzione cui il soggetto qualificato è preposto e non più quindi solo al compimento o all’omissione o al ritardo di uno specifico atto. In tale fattispecie, allora, sono da ricomprendere anche tutti quei comportamenti, attivi od omissivi, che violano i doveri di fedeltà, imparzialità ed onestà che devono essere rigorosamente osservati da tutti coloro i quali esercitano una pubblica funzione.

In altre parole l’attuale formulazione dell’articolo 318 c.p., realizzata con la Legge n. 190 del 2012, per mezzo del sintagma “per l’esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri”, punisce non solo le condotte di corruzione impropria già ricomprese nel precedente testo e ricollegate ad uno specifico atto d’ufficio, ma anche tutti i casi in cui l’indebita dazione o la sua promessa risultino teleologicamente rivolti all’esercizio della funzione o del potere da parte dell’intraneus, indipendentemente dal compimento di singoli atti dell’ufficio.

Per l’effetto, poiché la fattispecie è ormai svincolata dalla necessaria previa individuazione di un determinato atto d’ufficio, non ha così più ragion d’essere la storica differenza tra corruzione impropria antecedente (che si ha quando il fatto di corruzione si riferisce ad un atto che il funzionario deve ancora compiere) e susseguente (che si ha quando il fatto di corruzione si riferisce ad un atto che il funzionario ha già compiuto).

È da ritenere, peraltro, che dalla riformulazione della norma non ne sia derivato un cambiamento radicale dei rapporti tra gli articoli 318 e 319 c.p., nel senso che l’uno rimane pur sempre diretto a punire le condotte di corruzione impropria e l’altro quelle di corruzione propria che ha ad oggetto il mercimonio di una atto contrario ai doveri d’ufficio.

Quanto sopra detto si riflette anche sul reato di istigazione alla corruzione, rimodellato a seguito della riforma del 2012, attraverso il richiamo, contenuto nell’articolo 322, comma I, c.p., proprio all’esercizio delle sue funzioni o poteri quale finalità dell’atto dell’istigatore. Ne deriva l’inquadrabilità nelle ipotesi di istigazione alla corruzione di cui all’articolo 322, comma I, c.p. non solo delle condotte collegate al singolo atto dell’ufficio e all’esercizio delle funzioni o dei poteri, ma anche delle attività istigatorie correlate a una funzione o a un potere già esercitati.

5) La questione dell’irrisorietà dell’utilità oggetto della condotta istigatoria rispetto alla rilevanza dell’atto amministrativo compiuto ovvero da compiersi

Così come per il reato di corruzione ex articolo 318 c.p., anche per quello di istigazione alla corruzione ex articolo 322, comma I, c.p., l’irrisorietà dell’utilità oggetto della condotta istigatoria rispetto alla rilevanza dell’atto amministrativo compiuto ovvero da compiersi, rileva sul piano probatorio dell’esistenza del nesso sinallagmatico tra la condotta e il risultato che l’agente vorrebbe perseguire , con la conseguenza che l’assoluta sperequazione tra l’utilità e l’ipotizzata attività pubblica posta al servizio del privato esclude l’offensività della condotta.

Se ne ricava che nonostante che né l’articolo 318, né l’articolo 319, parlino letteralmente di retribuzione, per la punibilità di (tutte) le fattispecie corruttive (e ciò vale anche per l’istigazione alla corruzione) sembra ragionevole adottare un’interpretazione che consenta di escludere la sussistenza del reato allorché manchi un rapporto di proporzione tra le due controprestazioni.

In altri termini, perché sussista la corruzione, la retribuzione promessa o data deve essere comunque proporzionata rispetto al favore ottenuto o da ottenere , giacché in difetto evidente di proporzione non si potrebbe collegare causalisticamente alla prima la condotta assunta o che dovrà assumere il pubblico ufficiale.

Per l’effetto, anche la corruzione propria sarebbe non punibile nel caso di donativi di cortesia, di piccole regalie, ecc., non potendosi ritenere prestazioni di tale tipo e di così modesto valore concretamente idonee a costituire il corrispettivo per l’attività del pubblico ufficiale.

In questo senso, è del resto la giurisprudenza più avveduta, secondo cui, ai fini della configurabilità anche del reato di corruzione propria di cui all’articolo 319 c.p., deve essere oggetto di adeguata valutazione l’elemento del nesso di necessaria corrispettività che deve sussistere tra la promessa del compimento dell’atto contrario ai doveri di ufficio da parte del pubblico ufficiale con la dazione di denaro o altra utilità che costituisce il prezzo della corruzione. Infatti, per l’integrazione del reato è necessario che tra la promessa o la dazione di denaro o di altra utilità non dovute al pubblico ufficiale ed il compimento dell’atto contrario vi sia una correlazione funzionale, un nesso di causa ed effetto, il cui accertamento pur potendo in linea astratta anche prescindere dal requisito della proporzionalità tra le prestazioni oggetto dell’accordo, ne risulta condizionato in concreto nei casi in cui manchino altri elementi univoci dimostrativi della esistenza di un accordo corruttivo. In altri termini , nel caso della dazione di beni o utilità di scarso valore economico, la verifica della corrispettività con il compimento dell’atto amministrativo, in cui si sostanzia il necessario nesso sinallagmatico che è alla base dell’incriminazione, si impone come elemento discretivo tra le condotte penalmente rilevanti rispetto a quelle che possono rilevare unicamente sul piano degli illeciti disciplinari (si veda anche Sezione VI, 17 novembre 2021, relativa a una fattispecie in cui, per l’effetto, pur in ambito cautelare, il reato è stato escluso rispetto alla dazione di due latte di olio e di una busta di castagne).

Le motivazione della sentenza del 28 dicembre 2021 n. 47216

L’art. 322 c.p. secondo la previsione poi superata dalla riforma intervenuta con la legge n. 190 del 2012, puniva chi si rendeva responsabile dell'offerta o della promessa di denaro o altra utilità, come retribuzione non dovuta, a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio che rivesta la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio o servizio, sempre che l'offerta o la promessa non fosse stata accettata. La condotta si contrapponeva alla più grave ipotesi prevista dal secondo comma della citata disposizione che ricomprendeva l'offerta o la promessa finalizzata ad indurre il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio a omettere o a ritardare un atto del suo ufficio o servizio, ovvero a compiere un atto contrario ai suoi doveri.

Le fattispecie rispettivamente previste dall'art. 318 (primo comma) e 319 (secondo comma) c.p. fungevano da paradigma di riferimento in ordine alla tipologia di reato di cui l'art. 322 c.p., previsione penale posta a presidio anticipato dell'azione di pubblici poteri ed al rischio di azioni corruttive che potessero effettivamente integrarsi nella loro più ampia e grave evoluzione con l'accettazione della dazione o promessa illecita da parte dell'agente qualificato.

La modifica, pertanto, dell'art. 322 c.p. e, segnatamente, dei commi primo e secondo, risulta contestuale alla differente formulazione degli artt. 319 e - per quel che maggiormente rileva in questa sede - 318 cod. pen.; disposizione, quest'ultima, che proprio in ragione della difficoltà di individuare uno specifico atto dell'ufficio o servizio, ha costituito determinante ragione per ancorare la finalità della condotta ad un più saldo riferimento all'esercizio delle funzioni.

La nuova formulazione dell'art. 318 c.p. (e l'art. 320 c.p. che prende in considerazione la differente qualifica dell'incaricato di pubblico servizio), non a caso rubricata come "corruzione per l'esercizio della funzione", ha inciso notevolmente sullo stesso art. 322, primo comma, che richiama proprio "l'esercizio delle sue funzioni o poteri" quale finalità dell'atto del corruttore.

Sotto altro aspetto, si osserva, è venuto meno ogni riferimento cronologico rispetto all'esercizio delle funzioni o servizio che prima della modifica del 2012 era delineato dalla previsione del secondo comma dell'art. 318 c.p. allorché puniva con una pena significativamente inferiore il pubblico ufficiale che riceveva "la retribuzione per un atto d'ufficio da lui già compiuto" (un anno di reclusione), estensione della condotta di corruzione impropria che influiva proprio sulla condotta dell'istigatore.

L'attuale art. 318 c.p., per mezzo del sintagma «per l'esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri», punisce, pertanto, non solo le condotte già ricomprese nel precedente testo, ma anche tutti i casi in cui l'indebita dazione o la sua promessa risultino teleologicamente rivolti all'esercizio della funzione o del potere da parte dell'intraneus (Sez. 6, n. 19189 del 11/01/2013, Abbruzzese, Rv. 255073), indipendentemente dal compimento di singoli atti dell'ufficio.

Come è stato osservato dalla dottrina, la preposizione «per» viene ad indicare non solo «la finalità» in vista della quale la remunerazione è effettuata o promessa, ma anche la «causa» dell'indebita dazione di denaro o altra utilità o la sua promessa , costituita dall'esercizio della funzione o del potere da parte dell'agente pubblico.

Proprio perché ormai la fattispecie è svincolata dalla necessaria previa individuazione di un determinato atto d'ufficio, la storica differenza tra corruzione impropria antecedente e susseguente non ha più ragion d'essere (v. in motivazione, Sez. 6, n. 19319 del 10/02/2017, Liocco, Rv. 269836).

Ed invero, il collegamento dell'art. 318 c.p., che ha rimodellato le ipotesi di istigazione alla corruzione «impropria», collegandole non più al singolo atto dell'ufficio, ma all'esercizio delle funzioni o dei poteri, con l'art. 322, primo comma, c.p., ha fatto ritenere egualmente punibile l'istigazione alla corruzione impropria in relazione ad una funzione o ad un potere già esercitati (Sez. 6, Liocco, cit.), tenuto conto che il testo della norma non fa emergere alcuna preclusione tale da limitare la previsione penale alla sola istigazione alla corruzione impropria relativa al futuro esercizio dei poteri o funzioni del destinatario dell'offerta o promessa; mentre il carattere residuale dell'art. 318 c.p., rispetto alla più grave fattispecie di cui all'art. 319 c.p., fa sì che siano sussumibili nella prima norma quelle condotte non ricomprese nella corruzione propria (Sez. 6, n. 23804 del 17/03/2004, Sartori, Rv. 229642).

Superate da tempo le storiche ipotesi di istigazione alla corruzione impropria antecedente e corruzione impropria susseguente, tenuto conto del riferimento alla finalità ed alla causa dell'esercizio delle funzioni e dei poteri, venuta meno la necessaria individuazione dell'atto dell'ufficio inteso in senso meramente burocratico ed allineata la normativa penale all'evoluzione dell'azione amministrativa, il Collegio rileva come infondata risulti la censurata riqualificazione della imputazione contestata, asseritamente riconducibile all'ipotesi di istigazione alla corruzione impropria antecedente . Deve, infatti, osservarsi che l'imputazione formulata nei confronti del ricorrente è in linea con l'intervenuta modifica legislativa, essendo esplicito il riferimento alla condotta dell'agente che aveva offerto i cesti con all'interno generi alimentari non dovuti "per l'esercizio delle funzioni"; condotta che, in quanto astrattamente rapportata - per quel che sopra si è detto - alle finalità ed alle cause, non consente né di affermare che fosse precedente all'emissione di un determinato atto, né, tantomeno, che fosse successiva ad un atto dell'ufficio.

Ricostruito, pertanto, l'ambito operativo della fattispecie la cui formulata
contestazione risulta, in astratto, conforme alla decisione, fondato risulta il terzo motivo nella parte in cui il ricorrente rappresenta che
la condotta di Tizio non potesse incidere sulle funzioni esercitate o da esercitarsi a cura dei pubblici ufficiali.

Ed invero, la Corte territoriale, seppure ha motivato in ordine alla ragione per cui la consegna dei doni non trovasse una giustificazione nel sentimento di gratificazione del ricorrente, sotto altro determinante profilo non ha valutato se la consegna degli stessi potesse in alcun modo compromettere, o a qualsiasi titolo incidere, sulla funzione esercitata o da esercitare da parte dei pubblici ufficiali.

Proprio i riferimenti contenuti nella decisione impugnata che fanno leva sulla astratta finalità di condizionare anche il futuro operato degli ufficiali di polizia giudiziaria (testualmente «la scarsa plausibilità della tesi difensiva che tali doni natalizi vorrebbe ricondurre alla volontà riconoscente di Tizio [...] deve allora cedere il posto alla verifica della contraria attendibilità di una loro finalizzazione all'intendimento perseguito dal giudicabile di attingere la futura esplicazione pubblicistica di cui ne sono titolari i predetti, ricorreva un'evidente interesse dello stesso ad ingraziarsi la futura compiacenza dei predetti pubblici ufficiali che di certo avevano operato nel compimento dell'atto di pg di prioritaria valenza probatoria costituito dal sequestro probatorio dell'impianto di smaltimento e che, atteso ad iniziale stadio investigativo, non solo avrebbero potuto essere ulteriormente designati al compimento di ulteriori atti urgenti o di iniziativa ma ben avrebbero potuto in una successiva fase procedimentale [..] deporre come testi») dà il senso dell'evanescenza delle locuzioni adoperate dai Giudici di merito che, al fine di assegnare rilievo al recapito di cesti contenenti generi alimentari ai tre pubblici ufficiali il giorno precedente le festività natalizie, ha dovuto effettuare un ipotetico e probabilistico riferimento a future (possibili) attività giudiziarie (assunzione del ruolo di testimoni nel processo da parte dei militari o prosecuzione delle indagini).

I Giudici di merito, che pure si sono impegnati a confutare alcune argomentazioni addotte dalla difesa del ricorrente nella parte in cui evidenziava la volontà di ringraziare gli stessi per l'opera di supporto ricevuto (ragioni logicamente espresse nella parte in cui è stato rilevato che solo uno di loro si era impegnato nell'opera di componimento di un dissidio sorto il giorno della esecuzione del sequestro con l'altro socio che il ricorrente riteneva responsabile per le condotte alla base della ablazione) hanno omesso un concreto riferimento alla ragione a mente della quale la ritenuta indebita dazione risultasse teleologicamente rivolta all'esercizio della funzione o del potere da parte dell'intraneus (Sez. 6, n. 19189 del 11/01/2013, Abbruzzese, cit.).

Né, a tal fine, l'entità della regalia fatta pervenire in occasioni di ricorrenze festive risulta essere dato ex se esplicativo di una volontà, come pur affermato, di aggraziarsi i pubblici ufficiali, evenienza che esplicita in ordine a quale funzione si intendesse incidere anche in considerazione della distanza cronologica dall'operato sequestro e senza che nel frangente fossero stati apprezzati fatti idonei a fondare detta illazione su concrete emergenze che non fossero meramente ipotetiche.

Deve farsi riferimento a giurisprudenza di questa Corte che, seppure abbia riguardato il delitto di cui all'art. 318 c.p., risulta pertinente rispetto al caso sottoposto a scrutinio nella parte in cui ha messo in rilievo come, benché la proporzionalità tra le prestazioni non sia un elemento costitutivo del reato di corruzione impropria, l'irrisorietà dell'utilità conseguita rispetto alla rilevanza dell'atto amministrativo compiuto ovvero da compiersi, rileva sul piano probatorio dell'esistenza del nesso sinallagmatico con l'esercizio della funzione, il cui mercimonio integra il disvalore del fatto punito dall'art. 318 c.p. (Sez. 6, n. 7007 del 08/01/2021, Micheli, Rv. 281158). Decisione che rende palese come la assoluta sperequazione tra il prezzo di una corruzione e la ipotizzata attività pubblica posta al servizio del privato debba comunque essere valutata in termini di serietà, onde consentire di ritenere la condotta effettuata teleologicamente rivolta all'esercizio della funzione o del potere da parte dell'intraneus ed assumere rilevanza in vista di una remunerazione effettuata a «causa» dell'esercizio della funzione o del potere da parte dell'agente pubblico.

Pertinente risulta, inoltre, la richiamata giurisprudenza ad opera del ricorrente (Sez. 6, n. 19319 del 10/02/2017, Liocco, Rv. 269836, massimata sul punto) che, proprio in ragione della non significativa utilità, ha in concreto escluso l'offensività della condotta.

Condotta in concreto accertata che, a ben vedere, risulta addirittura antecedente rispetto ad un'azione ad opera dell'estraneus tendente a mettere in pericolo, attraverso la dazione di beni o utilità, la condotta dell'intraneus la cui consistenza risulta, per quanto detto, evanescente e non caratterizzata da una concretezza che faccia ritenere esistente una messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma oggetto di contestazione per come sopra storicamente ricostruita.

Proprio perché l'istigazione alla corruzione prevista dall'art. 322, primo comma, c.p. è condotta che precede quella che viene integrata dall'art. 318 c.p. che a sua volta è norma a tutela in via anticipata secondo un paradigma che vede detta fattispecie, nell'ambito di una progressione criminosa rispetto a quella di corruzione propria, precedere l'aggressione al bene giuridico protetto mettendolo in pericolo (in ordine alla differente aggressione del bene giuridico che connotano le fattispecie di cui agli artt. 318 e 319 c.p., Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 - 04), impone all'interprete di radicare la finalità della condotta di istigazione alla corruzione impropria a concrete capacità di incidere sul regolare svolgimento della funzione pubblica che, pertanto, non può essere genericamente individuata con ipotetiche e meramente possibili azioni che non trovino giustificazione dalla significativa consistenza dell'utilità data al pubblico agente ex se inidonea a configurare un concreto rapporto sinallagmatico rispetto alla condotta del pubblico agente.