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Esame d'avvocato: il caso di penale, l'abuso di autorità nella violenza sessuale

Il secondo appuntamento con una esercitazione sui reati contro la persona in vista delle prove. Sotto la lente al decisione della Cassazione n. 27336 del 2020

di Nicola Graziano

Con una recente decisione la Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, hanno affrontato il tema della sussistenza, nel delitto di violenza sessuale ex articolo609 -bis, comma I, Cp, del presupposto necessario di tale delitto ritenendo che l’atto sessuale, se associato ad abuso di autorità, non presuppone necessariamente una posizione di tipo formale o pubblicistico.

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IL QUESITO

Se, in tema di violenza sessuale, l'abuso di autorità di cui all'articolo 609 -bis Cp, comma I, presupponga nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o, invece, possa riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l'agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali?

 

A - IL CASO

Il caso

Tizio, insegnante privato di lingua inglese aveva compiuto atti sessuali con una minore Caietta di anni quattrodici a lui affidata per ragioni di istruzione ed educazione (si rilevava dalle indagini che questi si era avvicinato alla minore in più occasioni mettendosi tra le sue gambe ed abbracciandola stretta, accarezzandola sulle cosce e baciandola sulla bocca, tentando ripetutamente di inserirle anche la lingua).

Si costituivano parti civili nel processo i genitori della minore Caietta.

Il candidato assunte le vesti del difensore della parte civile individui la fattispecie delittuosa e ne approfondisca i profili problematici afferenti al caso in esame.

 

1) La sentenza in esame: Corte Suprema di Cassazione, sezioni Unite penali, sentenza del 1° ottobre 2020 n. 27326

 

2) La questione giuridica

"Se, in tema di violenza sessuale, l'abuso di autorità di cui all'articolo 609 -bis Cp, comma I, presupponga nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o, invece, possa riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l'agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali".

 

3) Riferimenti normativi: articolo 609-bis e articolo 609-quater del Cp

 

4) Le possibili interpretazioni

Il presupposto dell’abuso di autorità nei delitti di violenza sessuale

Dalle lettura dell’articolo 609-bis, comma I, del Cp emerge che viene considerato presupposto necessario di tale delitto che l'atto sessuale sia associato al costringimento del soggetto passivo che può aversi tramite violenza fisica sulla persona o sulle cose, minaccia, intesa come violenza morale, o abuso di autorità, tanto di pubblica autorità (ad es. nei confronti di un soggetto detenuto), tanto di autorità privata (ad esempio, tra datore di lavoro e lavoratore).

Si parla di violenza sessuale per costrizione che si contrappone alla ipotesi di cui al comma II che, infatti, comprende due ipotesi di violenza sessuale mediante induzione, cioè posta in essere non mediante azione diretta sulla persona offesa, ma secondo modalità specificamente descritte idonee a suggestionare la volontà della vittima.

Tornando alla fattispecie delittuosa del comma I è sorto contrasto interpretativo sul significato del concetto di abuso di autorità relativo alla violenza sessuale c.d. costrittiva di cui al sopra citato articolo 609-bis del Cp.

Vanno posti, infatti, due differenti linee interpretative, la prima delle quali afferma che l'abuso di autorità di cui all'articolo 609-bis del Cp, comma I, presuppone nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in mancanza della quale deve trovare applicazione la diversa ipotesi dell'articolo 609-quater del Cp, mentre la seconda estende l’abuso di autorità, quale modalità di consumazione del reato dell’articolo 609-bis, comma I, del Cp, a ogni potere di supremazia, anche di natura privata, di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali.

La tesi della posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico

Per un primo orientamento, l’abuso di autorità di cui all’articolo 609-bis, comma I, del Cp presuppone nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico.

In questi termini si sono pronunciate in via incidentale le sezioni Unite penali, n. 13 del 31 maggio 2000, valorizzando la sostituzione da parte dell’articolo 609-bis, I comma, del Cp. degli abrogati articoli 519, primo comma, 520 e 521 del Cp, ritenendo l’abuso d’autorità coincidente con l’abuso della qualità di pubblico ufficiale già contemplato dall’articolo 520 del Cp.

Alla decisione delle sezioni Unite si sono conformate sezione III, n. 32513 del 19 giugno 2002, e sezione III, n. 2283 del 26 ottobre 2006. In quest’ultima decisione, la Corte, dopo aver riproposto le argomentazioni delle sezioni Unite in tema di successione di leggi, ha osservato che optando per una nozione di abuso inclusiva di poteri di carattere privatistico, verrebbe meno la possibilità di distinguere l’ipotesi di reato contemplata dall’articolo 609-bis, I comma, Cp dall’ipotesi di rapporto sessuale con abuso di potere parentale o tutorio ora previsto dall’articolo 609-quater, II comma, del Cp e che, pertanto, l’unica interpretazione idonea a salvaguardare la coerenza normativa sarebbe quella che attribuisce carattere pubblicistico all’autorità considerata dalla prima delle richiamate disposizioni e carattere privatistico a quella considerata dalla seconda.

Altre decisioni hanno ribadito la natura formale e pubblicistica della posizione autoritativa dell’agente e precisato, che l’abuso di autorità consiste nella strumentalizzazione del proprio potere, realizzato attraverso una subordinazione psicologica tale per cui la vittima viene costretta al rapporto sessuale, risolvendosi, pertanto, in una vera e propria costrizione che non può essere desunta, in via meramente presuntiva, sulla base della posizione autoritativa ricoperta dal soggetto agente (sezione III, n. 36595 del 22 maggio 2012).

Si osserva inoltre che l'abuso di autorità di cui all'articolo 609-bis del Cp, comma I, presuppone nell'agente un rapporto di tipo formale pubblicistico di cui questi abbia abusato per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali, opzione interpretativa, questa, che avrebbe anche il pregio di non frustrare l'esigenza di apprestare maggior tutela possibile al bene giuridico protetto, risultando tuttavia rispettosa del principio di legalità e tipicità.

La tesi della posizione autoritativa intesa come posizione di supremazia anche di natura privata

Si contrappone al suddetto orientamento la tesi di coloro i quali propendono per un concetto di abuso di autorità più ampio, comprensivo di ogni relazione, anche di natura privata, in cui l’autore del reato riveste una posizione di supremazia della quale si avvale per coartare la volontà della persona offesa.

Soggetto attivo del reato , in questo senso, può essere chiunque rivesta una posizione di supremazia o autorità anche privata che eserciti una forma di influenza o suggestione sul soggetto passivo al fine di coartarne la volontà o condizionarne il comportamento. A sostegno di tale interpretazione si evidenzia che anche l’articolo 61, n. 11, Cp, configura, quale elemento di aggravamento comune situazioni che coinvolgono anche rapporti di diritto privato, riferendosi a chi commette un reato “con abuso di autorità” o “di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione di opera, di coabitazione o di ospitalità”.

Si osserva, inoltre, che quando il legislatore ha inteso riferirsi ad una situazione autoritativa di tipo pubblicistico, l’ha fatto esplicitamente, come nell’ipotesi di cui dell’articolo 608 del Cp, avente a oggetto l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti.

Del resto, si è detto, il bene giuridico protetto e cioè la libertà personale impone di prescindere dalla rilevanza pubblicistica della posizione di autorità vista anche la natura di reato comune della violenza sessuale; si è rilevato anche come la presenza di una clausola di riserva nell'articolo 609-quater del Cp sia di per sè idonea a delimitarne l'ambito di operatività rispetto all'articolo 609-bis del Cp, regolando l'eventuale concorso apparente di norme e che, descrivendo tale ultimo articolo la modalità della condotta come "abuso di autorità", esso considera la strumentalizzazione della dimensione soggettiva dell'autorità, mentre per l'articolo 609-quater, che si riferisce ad un "abuso dei poteri", rileva la strumentalizzazione della dimensione oggettiva, funzionale, dei poteri connessi alla posizione dell'agente.

La posizione assunta delle sezioni Unite n. 27326/2020

Occorre in primo luogo individuare, prima di stabilire quale sia l'origine della posizione autoritativa rilevante per la configurabilità del reato, il significato concreto della locuzione abuso di autorità nel contesto in cui è collocato.

La differente formulazione dei primi due commi dell'articolo 609-bis del Cp evidenzia come, nella violenza sessuale costrittiva, il soggetto passivo ponga in essere o su-bisca un evento non voluto poiché ne viene annullata o limitata la capacità di azione e di reazione coartandone la capacità di autodeterminazione, mentre nella violenza sessuale induttiva l'agente persuade la persona offesa a sottostare ad atti che, diversamente, non avrebbe compiuto, ovvero a subirli, strumentalizzandone la vulnerabilità e riducendola al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità.

In entrambi i casi l'autore del reato incide sul processo formativo della volontà della persona offesa, direttamente compressa, nel primo caso, fino ad impedire ogni diversa opzione ed orientata, nel secondo, conformemente alle intenzioni dell'agente.

Si tratta, a ben vedere, di due situazioni distinte, che rendono evidente come l'abuso di autorità considerato dal comma I sia solo quello che determina una vera e propria sopraffazione della volontà della persona offesa che si risolve in una costrizione e non anche una mera induzione, alla quale viene fatto riferimento solo nel comma II nei termini dianzi specificati.

Come osservato in dottrina, la condizione in cui versa la persona offesa nei casi di abuso di autorità è una condizione di sudditanza materiale o psicologica ma non psichica e, quindi, di origine patologica in senso stretto.

L'abuso di autorità può, peraltro, ritenersi distinguibile anche dalla minaccia funzionale alla costrizione, menzionata sempre nell'articolo 609-bis del Cp, comma I.

Il confine è certamente labile, ma risponde, evidentemente, all'esigenza di ampliare l'ambito di operatività del comma I fino a ricomprendervi situazioni non riconducibili alla violenza o minaccia ed è individuabile nel senso che, mentre la minaccia determina un'efficacia intimidatoria diretta sul soggetto passivo, costretto a compiere o subire l'atto sessuale, la coartazione che consegue all'abuso di autorità trae origine dal particolare contesto relazionale di soggezione tra autore e vittima del reato determinato dal ruolo autoritativo del primo, creando le condizioni per cui alla seconda non residuano valide alternative di scelta rispetto al compimento o all'accettazione dell'atto sessuale che, consegue, dunque, alla strumentalizzazione di una posizione di supremazia.

Quanto finora osservato consente già di rilevare come non vi siano validi argomenti per accedere all'interpretazione maggiormente restrittiva del concetto di abuso di autorità nei termini prospettati dal primo degli indirizzi giurisprudenziali richiamati in precedenza, per una serie di ragioni efficacemente sviluppate nelle decisioni più recenti, che evidenziano la debolezza delle conclusioni cui erano pervenute le precedenti pronunce.

La sentenza 13/2000 delle sezioni Unite, dopo aver dato conto dell'accertamento in fatto, nel giudizio cautelare, dell'assenza di costrizione fisica nei confronti della persona offesa da parte dell'agente, afferma - come si è detto, in via del tutto incidentale - che l'abuso di autorità previsto dall'articolo 609-bis del Cp coincide con l'abuso della qualità di pubblico ufficiale di cui all'abrogato articolo 520 del Cp, perché la disposizione vigente aveva sostituito quella di cui agli abrogati articolo 519 del Cp, comma 1 e articolo 520 del Cp, aggiungendo che, in ogni caso, esso presuppone una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico. La sentenza, inoltre, confronta l'articolo 609-bis del Cp con l'articolo 609-quater del Cp, considerando il vizio del consenso del minore determinato dalla differente maturità sessuale dell'agente e richiamando la differenza ontologica e giuridica tra il rapporto intercorrente tra autore del reato e persona offesa rispetto alle due fattispecie richiamate.

Ciò posto, occorre rilevare, in primo luogo, come non sia determinante il richiamo alle disposizioni del codice penale abrogate, rispetto alle quali quelle vigenti risultano del tutto scollegate. Invero, la collocazione del delitto di violenza sessuale tra quelli contro la libertà personale e la pacifica natura di reato comune rendono evidente l'intenzione del legislatore di ampliare l'ambito di operatività della fattispecie e svincolano del tutto l'articolo 609-bis del Cp dai riferimenti alla figura del pubblico ufficiale di cui all'abrogato articolo 520 del Cp, la cui posizione, secondo la lettura della norma offerta dalla coeva giurisprudenza, era di per sé sufficiente alla configurazione del reato, non essendo richiesta la costrizione, bensì il solo nesso occasionale tra la posizione di pubblico ufficiale ed il fatto, tanto da ritenersi penalmente rilevante la condotta posta in essere con soggetto consenziente o indotta dal soggetto passivo, essendo peraltro il reato configurabile soltanto quando quest'ultimo fosse una persona arrestata, detenuta o in affidamento per esecuzione di un provvedimento dell'autorità competente.

Corretta risulta, poi, l'osservazione secondo cui, quando la legge ha inteso riferirsi a soggetti che rivestono una posizione autoritativa formale, lo ha fatto espressamente, come nel caso dell'articolo 608 del Cp, concernente l'abuso di autorità contro arrestati o detenuti, mentre in altre disposizioni il concetto di autorità è inteso in senso ampio, pacificamente comprensivo di posizioni di preminenza non necessariamente di derivazione pubblicistica, come, ad esempio, nel caso dell'articolo 61 del Cp, n. 11, richiamato dalla giurisprudenza in precedenza menzionata e confrontato anche con il n. 9 del medesimo articolo (nella sentenza n. 49990/2014), ovvero in altre disposizioni richiamate dalla dottrina, quali l'ormai abrogato articolo 671 del Cp, l'articolo 600-octies del Cp, comma I, che attualmente sanziona condotte analoghe e gli articoli 571, 600 e 601 del Cp. Anche le ulteriori argomentazioni poste a sostegno della interpretazione maggiormente restrittiva, facendo ricorso al confronto tra la fattispecie in esame e quella prevista dell'articolo 609-quater del Cp, comma II, perdono consistenza non soltanto per la presenza della clausola di riserva e la diversa formulazione, che si riferisce non all'abuso di autorità bensì all'abuso di poteri, ma anche per la diversa conformazione della condotta sanzionata che non richiede, come si è fatto rilevare in più occasioni, la costrizione del minore, il quale è ritenuto non capace di esprimere un valido consenso (in ragione dell'età o del rapporto che lo lega al soggetto attivo), tanto è vero che il bene giuridico del reato non è la libertà di autodeterminazione del minore ma la sua integrità fisio-psichica nella prospettiva di un corretto sviluppo della propria sessualità.

Tali considerazioni trovano ulteriore conferma nel fatto che, in termini generali, l'autorità, come osservato in altro ambito, ha natura relazionale e presuppone un rapporto tra più soggetti, sostanzialmente caratterizzato dal fatto che colui che riconosce l'autorità di chi la esercita subisce, senza reagire, gli atti che ne derivano, sicché in un simile contesto, non può validamente sostenersi che il riconoscimento dell'autorità debba avere esclusivamente natura formale e pubblicistica.

Una simile interpretazione risulta, invero, in evidente contrasto con la esigenza di massima tutela della libertà sessuale della persona che la legge persegue, come pacificamente riconosciuto e rende collocabili nella fattispecie astratta di cui all'articolo 609-bis del Cp, comma I, anche situazioni che, altrimenti, ne resterebbero escluse, quali quelle derivanti da rapporti di natura privatistica o di mero fatto, come, ad esempio, nel caso dei rapporti di lavoro dipendente (anche irregolare), ovvero di situazioni di supremazia riscontrabili in ambito sportivo, religioso, professionale ed all'interno di determinate comunità, associazioni o gruppi di individui. Accedendo, pertanto, alla tesi più restrittiva, la prevaricazione esercitata dall'agente sulla persona offesa sarebbe valutabile in sede penale solo se collocabile nell'ambito della minaccia o dell'abuso delle condizioni di inferiorità psichica, restandone esclusa qualora il compimento dell'atto sessuale con soggetto non consenziente avvenga in assenza dei presupposti caratterizzanti le suddette forme di coartazione o induzione.

 

B – LA SOLUZIONE DEL CASO

Esclusa la natura formale e pubblicistica dell'autorità di cui l'agente abusa nel commettere il reato di cui all'articolo 609-bis del Cp, occorre stabilire se l'autorità privata sia solo quella che deriva dalla legge o anche un'autorità di fatto, comunque determinatasi ed è conseguente alle premesse indicate ritenere corretta la seconda ipotesi, poiché, se ciò che rileva è la coartazione della volontà della vittima, posta in essere da una posizione di preminenza, la specifica qualità del soggetto agente resta in secondo piano rispetto alla strumentalizzazione di tale posizione, quale ne sia l'origine.

Va peraltro osservato che il riconoscimento della validità della interpretazione più ampia del concetto di abuso di autorità non incide negativamente sul principio di tipicità.

Occorre in primo luogo ribadire, a tale proposito, che, come peraltro riconosciuto dalla dottrina, tra le finalità della legge 15 febbraio 1996, n. 66 vi era quella di assicurare la massima tutela a tutti coloro che, per caratteristiche personali o in ragione del contesto ambientale o relazionale che li vede coinvolti, vengano indotti o costretti a compiere o subire atti sessuali, sicché una nozione ampia del concetto di autorità risulta del tutto coerente con gli scopi perseguiti dal legislatore.

Inoltre, la sussistenza oggettiva del rapporto autoritario così come in precedenza individuato, deve essere inequivocabilmente dimostrata mediante un'analisi concreta della dinamica dei fatti idonea a porre in luce un rapporto di soggezione effettivamente intercorrente tra l'agente e la vittima del reato. Deve, poi, essere dimostrata anche l'arbitraria utilizzazione del potere, dando anche conto della correlazione esistente tra l'abuso di autorità e le conseguenze sulla capacità di autodeterminazione della persona offesa, poiché una condotta che dovesse diversamente estrinsecarsi dovrebbe inevitabilmente essere inquadrata nelle contermini ipotesi di minaccia o induzione.

In altre parole, per la configurabilità del reato in esame occorre dimostrare non soltanto l'esistenza di un rapporto di autorità tra autore del reato e vittima diverso dalla mera costrizione fisica e dalle richiamate ipotesi di minaccia ed induzione, ma anche che di tale posizione di supremazia l'agente abbia abusato al fine di costringere la persona offesa a compiere o subire un atto sessuale al quale non avrebbe in altro contesto consentito, dovendosi dunque escludere la possibilità di desumere la costruzione in via meramente presuntiva sulla base della posizione autoritativa del soggetto agente.

Quanto in precedenza rilevato consente, infine, di ritenere rilevante, per la configurabilità del reato, la valenza coercitiva dell'abuso di autorità tanto nel caso in cui la posizione di preminenza dell'agente sia venuta meno, permanendo tuttavia una condizione di soggezione psicologica derivante dall'autorità da questi già esercitata, quanto in quello di relazione di dipendenza indiretta tra autore e vittima del reato, quando il primo, abusando della sua autorità, concorre con un terzo che compie l'atto sessuale non voluto dalla persona offesa.

Il principio di diritto

L'abuso di autorità cui si riferisce l'articolo 609-bis del Cp, comma I, presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali.