Penale

Esercizio abusivo della professione medica per il fisioterapista che fa diagnosi e prescrive cura

L’attività professionale rientra tra quelle sanitarie, ma non consente al fisioterapista in base ai disturbi riportatigli dai pazienti di diagnosticare il problema e decidere la metodologia curativa con invasione delle prerogative del medico

di Paola Rossi

Il fisioterapista che fa una diagnosi in base a disturbi riportati dal paziente prescrivendo e adottando in base a quanto riferitogli una terapia commette il reato di esercizio abusivo della professione medica.

E se all’atto di praticare la terapia attinge il corpo dei pazienti per praticare atti sessuali scatta anche il reato di violenza sessuale previsto dall’articolo 609 bis del Codice penale, imputabile nella forma aggravata per l’approfittamento della condizione di inferiorità della parte offesa. Condizione di inferiorità che nel caso si determina a causa dell’affidamento che ha il paziente nelle prescrizioni e nelle pratiche di cura che gli vengono somministrate dal professionista cui si è affidato per le cure.

La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 29217/2025 - ha respinto il ricorso dell’imputato contro la condanna per entrambi i reati accogliendo solo il motivo che lamentava la mancanza di motivazione in ordine alla durata dell’interdizione dall’esercizio dell’attività professionale cui era abilitato il ricorrente.

La Cassazione spiega che per quanto la fisioterapia rientri nelle professioni sanitarie essa non si sovrappone alla professione medica che è anzi il valido presupposto giustificativo per lo svolgimento della prima. In particolare per quanto riguarda la fase diagnostica di una malattia e la previsione dell’adeguatezza della cura fisioterapica al fine di risolvere il problema da cui è afflitto il paziente. Sono quindi la diagnosi e successivamente la prescrizione della cura effettuate dal medico che giustificano la somministrazione di sedute d fisioterapia e della pratica prescelta dal terapista specializzato.

Passaggi preliminari alla fisioterapia che non sono stati rispettati dall’imputato che ha diagnosticato la malattia e deciso la cura in totale autonomia cioè senza rispetto delle prerogative affidate esclusivamente al medico professionista.

Anche sul punto della contestata violenza sessuale aggravata la Cassazione respinge il ragionamento dell’imputato che trovava irrazionale l’essere accusato di esercizio abusivo della professione quando poi in realtà i giudici asseriscono che nessuna pratica fisioterapica era stata realizzata, per quanto sostenuta dal consenso dei pazienti, quando questi venivano sottoposti a penetrazioni anali e vaginali mediante introduzione delle dita da parte del fisioterapista. In fondo il ricorso è come se dicesse “di due l’una”, ossia se le manovre sono state ritenute avulse dalle pratiche codificate non vi sarebbe stato alcun esercizio abusivo di professione, ma solo la violenza sessuale compiuta attraverso atti diretti univocamente a commettere il reato.

Ma - come fa notare - la Cassazione è proprio l’esercizio abusivo che ha determinato lo stato di fiducia dei pazienti nell’operato del fisioterapista determinando così lo stato di inferiorità psico-fisico della vittima rispetto all’autore degli abusi.

Infine, a nulla rileva il consenso della vittima - che il ricorso sottolinea sussistente a difesa dell’imputato - quando questo venga prestato da chi si trovi in stato di inferiorità.

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