Lavoro

Esposizione all’amianto, il tabagismo riduce il risarcimento per la malattia professionale

La Cassazione, ordinanza n. 27572 depositata oggi, ha chiarito i termini per la quantificazione del danno nel caso di una patologia ad eziologia multifattoriale

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di Francesco Machina Grifeo

Il tabagismo del lavoratore impiegato presso uno stabilimento siderurgico, dove è stato esposto all’amianto per anni e senza le dovute protezioni, non interrompe il nesso causale rispetto all’insorgenza del tumore ma va comunque considerato ai fini della quantificazione del risarcimento del danno da parte del datore di lavoro. È questo l’esito della ordinanza n. 27572 della Cassazione, depositata oggi, che, per un verso, ha respinto il ricorso dell’azienda teso a dimostrare l’assenza del nesso di causa tra la patologia tumorale e l’attività lavorativa; per l’altro, ha invece affermato che del tabagismo si deve tener conto nel fissare il risarcimento.

La Corte d’Appello di Lecce, accogliendo il ricorso degli eredi aveva condannato la società a pagare 464.625,71 euro a titolo di danno differenziale iure hereditati per la neoplasia polmonare che aveva cagionato il decesso del dipendente, impiegato dal 1970 al 1995 presso lo stabilimento siderurgico di Taranto, con mansioni che avevano comportato esposizione a sostanze nocive.

Per la Sezione lavoro la pronuncia è conforme alla giurisprudenza di legittimità per la quale il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo cui va riconosciuta efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni.

La decisione è altresì conforme al principio secondo cui, nell’ipotesi di malattia a eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può essere data anche in termini di probabilità sulla base della particolarità della fattispecie; è, tuttavia, necessario acquisire il dato della cd. probabilità qualificata, da verificarsi attraverso ulteriori elementi, come ad esempio i dati epidemiologici, idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale.

Così, tornado al caso specifico, la CTU aveva, in primis, accertato il nesso causale tra esposizione all’amianto sul luogo di lavoro e patologia tumorale; e poi riconosciuto rilevanza concausale al tabagismo, “ma non tale da interrompere il nesso (con)causale dell’esposizione sul luogo di lavoro a sostanze nocive della patologia tumorale a origine multifattoriale per cui è causa, ma piuttosto sinergico”.

Quello che però non ha fatto è tenere conto di tale concausa ai fini del risarcimento. La Corte di merito ha cioè sovrapposto i profili della causalità del danno - governata dal principio di equivalenza delle condizioni -, con quelli della sua quantificazione - governata dai principi di personalizzazione e di responsabilità.

In caso di concorso della condotta colposa del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, spiega la Cassazione, nell’espressione “fatto colposo” rientra il fumo attivo, che costituisce un atto di volizione libero, consapevole e autonomo di soggetto dotato di capacità di agire; per l’effetto, il risarcimento del danno deve essere proporzionalmente ridotto in ragione dell’entità percentuale dell’efficienza causale del comportamento della vittima. E, conclude la Corte, l’art. 1227, comma 1, c.c. è applicabile in relazione sia al danno iure proprio, sia al danno iure hereditatis. Sarà dunque la Corte di appello di Bari, in sede di rinvio a dover procedere a una definizione del quantum da risarcire.

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