Evasione domiciliari, uguale trattamento per imputato e indagato
La Corte costituzionale, con la sentenza numero 107, depositata oggi, ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 385, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, prevede che l’indagato possa essere punito per l’evasione dal regime degli arresti domiciliari, nonostante la lettera della disposizione faccia riferimento esclusivamente all’imputato.
La questione non è fondata in quanto, all’epoca della formulazione del terzo comma dell’articolo 385 del codice penale, sostituito dall’articolo 29 della legge numero 532 del 1982, il legislatore non poteva che fare riferimento alla nozione di «imputato» prevista dal codice di rito del 1930 all’epoca vigente, al quale era del tutto sconosciuta la figura della persona sottoposta alle indagini e la distinzione tra la fase delle indagini preliminari e la fase processuale in senso stretto. Imputato era, infatti, colui il quale fosse risultato indiziato di reità in qualsiasi fase del procedimento, compresa quella delle indagini.
Pertanto, nel perimetro coperto dal termine «imputato» utilizzato nella disposizione censurata, rientra, al di là del nomen attribuitogli alla luce del nuovo contesto normativo, il soggetto che, secondo il nuovo codice di procedura penale, assume la denominazione di «indagato».
Sicché nessuna lesione del principio di legalità nei termini dedotti dal rimettente è rinvenibile nella disposizione censurata e nell’applicazione che correntemente se ne fa.