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Fallimento: iniziativa per la declaratoria e legittimazione del fideiussore

Il fideiussore che, escusso dal creditore garantito, non ha provveduto al pagamento del debito non è legittimato a proporre l'istanza per la declaratoria del fallimento del debitore principale

di Rossana Mininno


Il fallimento è disciplinato dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante "Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa".

L'articolo 6, rubricato "Iniziativa per la dichiarazione di fallimento", attribuisce la legittimazione attiva al debitore, ai creditori e al Pubblico Ministero.

L'attuale formulazione della norma, come risultante a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, esclude l'iniziativa d'ufficio del Tribunale e «implica, pertanto, che il giudice possa pronunciarsi nel merito solo in presenza di iniziativa proposta da soggetto legittimato ed a condizione che la domanda non sia rinunciata, sicché in caso di accertamento dell'insussistenza del credito in capo al ricorrente, la sua carenza di legittimazione impone una pronuncia in rito di inammissibilità» (Cass. civ., Sez. VI, 27 febbraio 2020, n. 5312).

La legittimazione del soggetto istante costituisce una (imprescindibile) condizione dell'azione, il cui accertamento è demandato alla valutazione del Giudice adito in sede pre-fallimentare.

Per quanto attiene alla legittimazione del creditore, secondo il costante orientamento dei Giudici di legittimità, l'iniziativa per la declaratoria del fallimento «non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l'esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice all'esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell'istante» (Cass. civ., Sez. I, 28 novembre 2018, n. 30827. Conformi ex multis Cass. civ., Sez. I, 15 gennaio 2015, n. 576; Cass. civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, le quali hanno ritenuto tale statuizione «in sintonia con il dettato normativo»).

Per quanto attiene, invece, alla legittimazione del Pubblico Ministero il referente normativo è costituito dall'articolo 7, recante, nella formulazione risultante a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 5 del 2006, l'individuazione dei casi al ricorrere dei quali è proponibile l'istanza per la declaratoria di fallimento:

«1) quando l'insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore; 2) quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile».

Con specifico riferimento all'ipotesi sub 1) il Pubblico Ministero è legittimato a richiedere il fallimento «non solo qualora apprenda la "notitia decoctionis" da un procedimento penale pendente, ma anche ogni qualvolta la decozione emerga dalle condotte specificamente indicate nella norma sopra indicata, le quali non sono necessariamente esemplificative di fatti costituenti reato e non presuppongono come indefettibile la pendenza di un procedimento penale» (Cass. civ., Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 646).

Altra ipotesi di legittimazione all'iniziativa per la declaratoria del fallimento è quella prevista dall'articolo 87 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 ("Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito"), ai sensi del quale è legittimato il «concessionario», che «può, per conto dell'Agenzia delle entrate, presentare il ricorso di cui all'articolo 6 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267» (comma 1): la norma «individua il soggetto legittimato ad agire, in nome proprio e per conto del titolare del credito stesso, per il compimento delle attività processuali di natura esecutiva, funzionali alla riscossione coattiva delegata, integrando la fattispecie uno dei casi fatti salvi dall'art. 81 c.p.c., così realizzandosi, con la cura della riscossione coattiva per conto del titolare, il perseguimento anche di un interesse proprio del concessionario, ai sensi dell'art. 100 c.p.c.» (Cass. civ., Sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 24789).

Con l'ordinanza n. 25317 pubblicata in data 11 novembre 2020 la Prima Sezione civile della Corte di cassazione si è pronunciata sulla questione della legittimazione (attiva) del fideiussore a domandare il fallimento del debitore principale.

Nella fattispecie scrutinata Tizio, nella sua qualità di fideiussore della cooperativa Alfa, ha domandato e ottenuto, in un primo momento e pur non avendo ancora provveduto al pagamento del debito, un decreto ingiuntivo nei confronti di Alfa e, in un secondo momento, la declaratoria del fallimento della medesima Alfa.

Tizio è ricorso per la cassazione della sentenza mediante la quale la Corte territoriale ha revocato il provvedimento dichiarativo del fallimento di Alfa, deducendo «il vizio della sentenza per violazione degli artt. 6 l.f. e 1953 c.c., avendo trascurato la corte che oggetto del giudizio promosso era l'accertamento dell'insolvenza del debitore, piegandosi ad essa strumentalmente la posizione del creditore, nel caso già convenuto in giudizio per il pagamento quale fidejussore e dunque con pieno diritto al rilievo da parte del debitore anche prima di assolvere all'obbligo per cui è richiesto dal creditore».

I Supremi Giudici hanno rilevato come, nella fattispecie concreta, l'azione di rilievo, prevista e disciplinata dall'articolo 1953 del codice civile, fosse stata «mal attivata dall'istante», per aver Tizio richiesto al debitore principale «il pagamento, prima ancora di esservi stato costretto per iniziativa del creditore (o comunque averlo fatto)».

La menzionata disposizione codicistica «consente al fideiussore, prima di aver pagato, ed a tutela delle proprie ragioni di regresso suscettibili di essere pregiudicate dallo stato d'insolvenza del debitore principale, di agire contro quest'ultimo, affinché lo liberi dall'impegno fideiussorio, mediante pagamento diretto del creditore od ottenendo rinuncia del creditore alla fideiussione (cosiddetto rilievo per liberazione), ovvero affinché presti garanzia idonea ad assicurare le suddette ragioni (cosiddetto rilievo per cauzione)» (Cass. civ., Sez. I, 13 giugno 1984, n. 3538).

Nella fattispecie scrutinata ha assunto rilievo dirimente «la posizione soggettiva colta nella sua mera titolarità e portata di obbligato di garanzia», non ricorrendo, nello specifico, un credito di regresso o surroga per non avere Tizio effettuato alcun pagamento.

Come osservato dai Giudici della Prima Sezione, «se è vero infatti che, ai fini dell'istanza di fallimento, non è strettamente necessario che il creditore vanti una pretesa monetaria, ben potendo la posizione soggettiva estrinsecarsi altresì nella consegna di cose, dunque in un dare a contenuto plurale (proprio della più ampia nozione di debito), è decisivo non solo dibattere sulla stabilità o meno di un provvedimento giudiziale, come nel caso, che erroneamente gliel'assegni, ma procedere a verifica di quale sia e se vi sia la natura di creditore del soggetto agente idonea a manifestarsi in modo utile nel concorso».

In altri termini, la natura di creditore del soggetto, imprescindibile al fine della sussistenza della legittimazione all'iniziativa per la declaratoria del fallimento, «va scrutinata in relazione al diverso parametro della sua deducibilità quale titolo per l'ingresso tra i creditori concorsuali ai sensi dell'art. 52 l.f.».

Come rilevato dai Supremi Giudici, la giurisprudenza è «attestata da tempo» sul principio secondo cui «in tema di concorso di creditori, ex art. 61, comma 2, l. fall., il fideiussore non ha un credito di regresso prima del pagamento e dunque non può essere ammesso con riserva per un credito condizionale», mentre può esserlo «solo dopo il pagamento, in surrogazione del creditore, considerata la natura concorsuale del credito di regresso» (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. I, 4 agosto 2017, n. 19609; C

ass. civ., Sez. VI, 5 settembre 2019, n. 22308; Cass. civ., Sez. I, 15 giugno 2020, n. 11521).

L'oggetto del credito deve essere «tale da potersi convertire, all'instaurazione del concorso, in una posizione soggettiva astrattamente ammissibile al passivo», posizione non acquisibile con l'azione ex articolo 1953 del codice civile, all'esito della quale il fideiussore può pervenire a un facere, ma non ottenere un titolo astrattamente idoneo ad attribuirgli la qualità di creditore concorsuale in caso di apertura del fallimento.

Conclusivamente il Supremo Collegio ha enunciato il seguente principio di diritto: «il fidejussore che, escusso dal creditore garantito, non abbia provveduto al pagamento del debito, non è legittimato, ai sensi dell'art. 6 l.f., a proporre l'istanza di fallimento contro il debitore principale per il solo fatto di averlo convenuto in giudizio con l'azione di rilievo ex art. 1953 c.c., atteso che tale azione non lo munisce di un titolo astrattamente idoneo ad attribuirgli la qualità di creditore concorsuale in caso di apertura del fallimento; deve escludersi, per altro verso, che il diritto del fidejussore al regresso (o alla surrogazione nella posizione del creditore principale) possa sorgere, ancorché in via condizionale, anteriormente all'adempimento dell'obbligazione di garanzia».

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