Civile

Fallimento, il riparto parziale non fa decorrere il termine per l’equa riparazione

Per la Corte di cassazione, sentenza n. 16081 depositata oggi, il dies a quo parte da quando il decreto di chiusura del fallimento è diventato inoppugnabile

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di Francesco Machina Grifeo

Nella procedura fallimentare, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della domanda di equo indennizzo deve aversi riguardo al provvedimento conclusivo del giudizio, che non può identificarsi nel “riparto parziale, quand’anche integralmente satisfattivo per il creditore”. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 16081 depositata oggi, accogliendo il ricorso di un gruppo di creditori di una Srl.

Inizialmente, il giudice aveva riconosciuto come irragionevole la durata (11 anni) della procedura fallimentare della società in liquidazione, il cui fallimento era stato dichiarato dal Tribunale nel giugno 2022, mentre i richiedenti erano stati ammessi al passivo a marzo 2003, ancora pendente al momento dell’instaurazione del procedimento di equa riparazione. Accogliendo il ricorso del Ministero dalla Giustizia, la Corte di appello aveva però revocato l’indennizzo avendo considerato - quale momento di decorrenza del termine di decadenza semestrale previsto dall’articolo 4 della legge n. 89/2001 per la proposizione della domanda di riparazione - la data di esecutività dello stato passivo che disponeva il loro integrale soddisfacimento, e non la data di chiusura definitiva della procedura fallimentare. La tesi si basava sull’assunto che da quel momento i creditori “hanno avuto certezza della loro piena soddisfazione”, ragion per cui si doveva considerare “cessato il loro patema d’animo derivante dalla durata della procedura fallimentare”.

Una tesi bocciata dalla II Sezione civile secondo cui così si confonde la questione, di natura sostanziale, relativa alla effettiva durata della procedura fallimentare (durata che, indubbiamente, termina con la integrale soddisfazione del creditore procedente) con la diversa questione, di natura processuale, relativa alla decorrenza del termine per la proposizione della domanda di equa riparazione.

Sul punto la Cassazione afferma il seguente principio di diritto: “Il termine di cui all’art. 4 della legge n. 89/2001 ai fini della proposizione della domanda di equo indennizzo per la irragionevole durata di una procedura fallimentare decorre dalla data in cui è diventato inoppugnabile il decreto di chiusura del fallimento anche per il creditore il cui credito sia stato integralmente soddisfatto per effetto di un riparto parziale, poiché la data dell’integrale soddisfazione del credito insinuato nel fallimento segna, per il creditore soddisfatto, il termine finale della durata della procedura fallimentare indennizzabile ai sensi della legge n. 89/2001, ma non il “dies a quo” del termine per la presentazione della domanda di equa riparazione”.

Con la diversa decisione n. 16140, sempre di oggi, la Cassazione ha chiarito, sempre ai fini dell’equa riparazione, con riguardo ad un giudizio amministrativo, che la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all’indennizzo a carico dello Stato-debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa e il giudizio di ottemperanza è, sul piano funzionale e strutturale, pienamente equiparabile al procedimento esecutivo.

In questa valutazione unitaria, tuttavia, non deve considerarsi come «tempo del processo» quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e la proposizione del ricorso in ottemperanza. “Considerati i 120 giorni previsti, in via generale, dall’art. 14 Dl n. 669 del 1996, per l’adempimento da parte di un’amministrazione dello Stato dei crediti accertati nei suoi confronti – si legge nella decisione -, comunque il ritardo dello Stato nell’esecuzione spontanea della decisione favorevole non può trovare ristoro nella legge 89/2001; questa legge – conclude la Corte - è, infatti, diretta all’indennizzo del pregiudizio correlato al ritardo della definizione di un processo svolto davanti ad un giudice, non del ritardo attribuibile allo Stato amministrazione, tant’è che anche il comma 2 quater dell’art. 2 della stessa legge esclude dal ritardo indennizzabile ogni tempo che sia «fuori» dal processo (Cass. Sez. 2, n. 4749/2024)”.

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