Lavoro

Fallimento, spetta al dipendente l'insinuazione per le quote di Tfr non versate al Fondo

La Sezione lavoro, sentenza n. 18477 depositata oggi, torna sulla questione della legittimazione attiva ai fini dell'insinuazione al passivo fallimentare già risolta a favore del lavoratore

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di Francesco Machina Grifeo

Si rafforza l'orientamento della Cassazione per il quale in caso di fallimento del datore di lavoro, l'insinuazione al passivo per le quote di Tfr non versate al fondo di previdenza complementare spetta al lavoratore. In questo caso, il mandato al versamento deve considerarsi sciolto, e dunque la titolarità del credito – ancora di natura retributiva e non previdenziale, non essendo stato versato nulla – torna in capo al dipendente. La Sezione lavoro, sentenza n. 18477 depositata oggi, torna sulla questione della legittimazione attiva ai fini dell'insinuazione al passivo fallimentare già risolta a favore del lavoratore con la recentissima decisione del 7 giugno scorso n. 16116.

Accolto dunque il ricorso del dipendente contro la decisione del Tribunale di Vicenza che, nel 2018, ne aveva rigettato l'opposizione allo stato passivo del Fallimento di una s.r.l., da cui era stato escluso il suo credito di 5mila euro, a titolo di T.f.r. conferito al Fondo di Previdenza Complementare (F.P.C.), insinuato in via privilegiata ai sensi dell'art. 2751bis n. 1 c.c. Per il giudice mancava la prova della sua legittimazione in difetto di produzione dell'atto costitutivo del Fondo (o di altra documentazione idonea), per accertare il titolo del conferimento del T.f.r., attraverso la contribuzione ad esso destinata. E cioè: se a titolo di mandato ovvero di cessione del credito. Nel primo caso, spiegava la decisione, avendo egli legittimazione, per lo scioglimento del mandato all'apertura della procedura concorsuale; non avendola nel secondo, per effetto del trasferimento del credito nel patrimonio del Fondo, titolare della legittimazione all'insinuazione.

Di diversi avviso la Sezione lavoro. Premessa la scelta del lavoratore (non già della contribuzione, ma) del conferimento delle quote di T.f.r. (a norma dell'art. 8, settimo e decimo comma d.lgs. 252/2005), "la controversia - afferma la Cassazione - pone la delicata e complessa questione dell'individuazione del soggetto titolare della pretesa concorsuale nei confronti del datore di lavoro insolvente, e pertanto dichiarato fallito, se il lavoratore ovvero il Fondo di Previdenza Complementare". A cui si agganciano le altre due questioni relative: 1) alla natura, se retributiva ovvero contributiva, del credito del lavoratore (insinuato e) ammesso allo stato passivo; 2) all'identità o meno di tale credito a quello del medesimo alla prestazione dovutagli dal F.P.C.

Al termine di un lungo excursus normativo e giurisprudenziale, la Suprema corte afferma che quando, come nel caso in esame, "il datore di lavoro insolvente non provveda al versamento, per inadempimento all'obbligazione assunta verso il lavoratore con il mandato ricevuto, il vincolo di destinazione impresso alle risorse (parte della retribuzione attuale o attesa con la maturazione delle quote di T.f.r.) non si attua, ma si ripristina la disponibilità piena del lavoratore di tali risorse, di natura retributiva".

Questo perché - premessa la distinzione dei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro (da cui il primo trae, con una parte della propria retribuzione, le risorse per la contribuzione o il conferimento delle quote di T.F.R. maturando) e tra lavoratore e Fondo di Previdenza Complementare (di natura contrattuale per il conseguimento, da parte del lavoratore medesimo, attraverso l'investimento da parte del Fondo, di una prestazione previdenziale integrativa) - "il datore di lavoro assume l'obbligo, sulla base di un mandato ricevuto dal lavoratore e salvo che non risulti dallo statuto del Fondo una cessione del credito, di accantonare e versare ad esso la contribuzione o il T.F.R. maturando conferito."

E fino al compimento del versamento da parte del datore di lavoro, la contribuzione o le quote di T.F.R. maturando conferite, accantonate presso il datore di lavoro medesimo, hanno natura retributiva, mentre ha natura previdenziale la prestazione previdenziale integrativa erogata al lavoratore dal F.P.C.

Dunque, il mancato versamento, da parte del datore di lavoro insolvente, della contribuzione o delle quote di T.F.R. maturando conferite, accantonate su mandato del lavoratore con il vincolo di destinazione del loro versamento al F.P.C., "comporta, per la risoluzione per inadempimento del mandato, il ripristino della disponibilità piena in capo al lavoratore delle risorse accantonate, di natura retributiva: posto che esse assumono natura previdenziale, soltanto all'attuazione del vincolo di destinazione, per effetto del suo adempimento."

In questo senso, conclude la Corte: "Il fallimento del datore di lavoro, quale mandatario del lavoratore, comporta lo scioglimento del contratto di mandato, ai sensi dell'art. 78, secondo comma l. fall. e il ripristino della titolarità, spettante di regola al lavoratore, così legittimato ad insinuarsi allo stato passivo, salvo che dall'istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del F.P.C., cui in tal caso spetta la legittimazione attiva ai sensi dell'art. 93 l. fall."

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