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Fallimento del terzo datore? Giungono in soccorso le Sezioni Unite

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto la quaestio juris in tema di fallimento del terzo datore di ipoteca<span id="U403126884302KOE" style="font-weight:bold;font-style:normal;"/>

di Linda Frisoni Bianchi, Matteo Stroppa*

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto la quaestio juris in tema di fallimento del terzo datore di ipoteca e, in particolare, in merito alla possibilità o meno, per il creditore ipotecario, di veder riconosciuto il proprio diritto reale di garanzia nell'ambito del procedimento di verifica del passivo disciplinato dal Capo V del Titolo II della Legge Fallimentare, piuttosto che in sede di distribuzione dell'attivo ricavato dalla vendita dell'immobile gravato dall'ipoteca.
Prima di entrare nel merito dei principi di diritto enunciati dalla Corte, si rende necessario ripercorrere l'excursus giurisprudenziale formatosi sul tema.

Il burrascoso passato della questione

Il fallimento del terzo datore è da sempre un argomento controverso per gli addetti ai lavori e non solo, in quanto anche la giurisprudenza della Suprema Corte è stata, nel tempo, ondivaga nelle sue decisioni, creando sul punto particolare confusione.

Il terzo datore d'ipoteca costituisce una figura ibrida, in quanto, a differenza del fideiussore, non è prevista una responsabilità solidale dello stesso con il soggetto garantito, bensì si assume la responsabilità di garantire un debito altrui mettendo a disposizione uno o più beni.

Sul punto è intervenuta a più riprese la S.C. inquadrando tale status come ipotesi di "responsabilità senza debito" (Cfr. Cass. Civ. n. 11545 del 19/05/2009 ), precisando che "(…) Il caso di specie, in cui la società fallita è terzo datore d'ipoteca concessa a garanzia di un debito altrui, si colloca nell'archetipo della responsabilità senza debito, al pari del caso richiamato dalla difesa del ricorrente in cui un terzo acquisti un bene ipotecato, che la tradizionale dottrina configura sulla base dello "scollegamento" nella nozione giuridica di obbligazione tra le categorie del debito – dovere di adempimento cui corrisponde il credito – e responsabilità, che rappresenta stato di assoggettamento dei beni del responsabile, che sopravviene in caso d'inadempimento (…)".

La figura del terzo datore di ipoteca si è da sempre mal conciliata con le procedure concorsuali, basti pensare i rapporti con il Concordato preventivo ove l'art. 184 L.F. non prevede alcun riferimento nei confronti del terzo datore di ipoteca ma solo a "i coobbligati, fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso".

La figura de qua risulta controversa nella misura in cui, in caso di Fallimento, il bene posto a garanzia di un debito non del fallito entra naturalmente a far parte della massa attiva della procedura ma al contempo per l'ammissione del relativo credito allo stato passivo fallimentare, e dunque al fine della partecipazione al concorso, è condicio sine qua non il previo esperimento del meccanismo di verifica dei crediti direttamente disciplinato dalla Legge Fallimentare.

Storicamente si sono contrapposti due distinti orientamenti giurisprudenziali.

L'orientamento giurisprudenziale prevalente è da sempre orientato nel senso di escludere l'ammissione allo stato passivo della procedura fallimentare aperta in danno del terzo datore di ipoteca, nel mentre, lasciando spazio all'intervento del creditore in sede di riparto. La Suprema Corte ha ritenuto che la prelazione ipotecaria costituisse una "passività" gravante sul patrimonio del fallito e della quale quest'ultimo doveva esserne depurato prima della ripartizione, a favore dei creditori concorsuali, del ricavato della liquidazione del bene gravato.

In questa diversa sede il Giudice Delegato doveva provvedere non tanto alla verifica del credito in sé, in quanto vantato nei confronti di un soggetto diverso dal fallito, bensì alla verifica dell'esistenza, della validità e dell'opponibilità alla procedura concorsuale del titolo costituente la causa legittima di prelazione.

Per tali ragioni, pur alla luce del novellato art. 52 L.F., tale orientamento ha sempre previsto che il creditore – non diretto del fallito – avrebbe dovuto depositare apposita domanda di partecipazione al riparto in luogo della ordinaria istanza di insinuazione al passivo.

Tale impostazione è sempre stata suffragata dalla circostanza per cui il creditore in quesitone non era destinatario della comunicazione di cui all'art. 92 L.F. – con la conseguenza che, con molta probabilità, non avrebbe potuto rispettare i termini per il deposito dell'insinuazione tempestiva e/o tardiva – essendo destinatario solamente dell'avviso di cui all'art. 107 comma 3 L.F.

A questo orientamento se ne contrapponeva uno successivo e minoritario che, al contrario, riteneva obbligatoria la previa verifica della posizione del titolare del diritto reale di garanzia non creditore diretto del fallito.

Di tale corrente, in realtà, è esponente la famosa ordinanza della Corte di Cassazione n. 2657 del 30 gennaio 2019 , la quale ha enunciato la propria convinzione circa la necessità dell'accertamento della garanzia ipotecaria all'interno del procedimento di verifica del passivo, ritenendo tale impostazione "certamente preferibile dal punto di vista logico-sistematico sia per l'indubbia affinità di tale accertamento a quella fase, sia perché consente di superare ogni incertezza quanto alle modalità e ai termini dell'accertamento stesso, collocandolo nell'ambito di un subprocedimento, quale quello di formazione dello stato passivo, che prevede garanzie di partecipazione per tutti i soggetti interessati ed è ispirato a condivise esigenze di tempestività".

Tale orientamento è stato suffragato dall'ultima formulazione dell'art. 52, comma 2, L.F., come modificato dall'art. 49, D.Lgs. n. 5/2006, secondo cui "ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo V, salvo diverse disposizioni della legge".

La presa di posizione delle Sezioni Unite

La vicenda trae origine da una decisione del Tribunale di Terni, con cui è stata accolta l'opposizione ex artt. 98 ss L.F. proposta da una Banca avverso il provvedimento che aveva dichiarato esecutivo lo stato passivo del fallimento e, per l'effetto, è stata disposta l'ammissione del credito dell'opponente allo stato passivo, in via privilegiata ipotecaria, con la precisazione che l'ammissione era da considerarsi limitata alle somme ricavate dalla vendita degli immobili oggetto di ipoteca.

La ratio dell'interpretazione del Tribunale dell'opposizione risiedeva nel fatto che, pur ritenendo ammissibile la domanda di ammissione al passivo, il creditore ipotecario del terzo datore non avrebbe in alcun modo potuto concorrere con gli altri creditori nella ripartizione dell'intero attivo fallimentare, ma solamente per quella quota parte consistente, per l'appunto, nel ricavato dei beni garantiti dal proprio privilegio, in quanto da considerarsi un creditore indiretto del fallito.

Avverso il predetto decreto, la Curatela ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. In particolare, con il primo motivo di gravame il Fallimento ha censurato l'interpretazione dell'art. 52, L.F. proposta dal Tribunale, in quanto mal si concilierebbe con il dettato dell'art. 93, L.F.: norma che, anche a seguito della riforma del 2006, menziona esclusivamente le domande di rivendica e di restituzione.

La Suprema Corte ha, di fatto, accolto il primo motivo, cassando senza rinvio il decreto impugnato, e ha assorbito gli altri tre motivi, in quanto relativi a una decisione che il Tribunale, in realtà, non avrebbe dovuto adottare.

In particolare, i principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite sono i seguenti:
(i)"I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono, anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d. lgs. n. 169 del 2007, avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al titolo II, capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori del fallito, né soggetti che agiscono per la restituzione o la rivendica dei beni acquisiti al fallimento".
Con tale primo principio, la Corte ha, di fatto, sposato l'orientamento prevalente, così chiarendo definitivamente che il creditore non diretto del fallito che vanti un diritto reale di garanzia nei confronti dei beni di quest'ultimo non deve insinuarsi al passivo del Fallimento e, quindi, non è soggetto al procedimento di verifica dei crediti.

(ii)"I detti creditori possono intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell'attivo per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati".
Lo strumento concesso a tale creditore è unicamente quello della domanda di partecipazione alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni della procedura gravati da garanzia reale in suo favore. Ne deriva che tale domanda potrà essere depositata oltre il termine di cui all'art. 101 L.F., essendo possibile la trasmissione della stessa soltanto a seguito della ricezione dell'avviso di cui all'art. 107, comma 3, L.F. e, quindi, prima del completamento delle operazioni di vendita dei detti beni.

(iii)"Avverso il piano di riparto del curatore che escluda o includa (in tutto o in parte) il diritto del titolare della nuda prelazione alla distribuzione delle dette somme, il creditore ipotecario o pignoratizio e, rispettivamente, gli altri creditori interessati al riparto del ricavato della vendita del bene possono proporre reclamo a norma dell'art. 110, comma 3, l. fall." e (vi) "Il reclamo può avere ad oggetto l'esistenza, la validità e l'opponibilità al fallimento della garanzia reale, avendo anche riguardo alla sua revocabilità, oltre che l'an e il quantum del debito garantito".

Il rimedio esperibile dal creditore titolare della mera prelazione ipotecaria è il reclamo al progetto di riparto direttamente previsto dall'art. 110 L.F., da proporsi nelle forme, giusta espresso richiamo, di cui all'art. 36 L.F. Di fatto, il reclamo è astrattamente equiparabile all'opposizione di cui agli artt. 98 ss L.F., concesso al creditore che veda in tutto o in parte escluso il proprio diritto di garanzia. Tale parallelismo è suffragato dal quarto motivo di diritto enunciato dalle SS.UU., avendo precisato espressamente che oggetto del reclamo può essere "l'esistenza, la validità e l'opponibilità al fallimento della garanzia reale, avendo anche riguardo alla sua revocabilità, oltre che l'an e il quantum del debito garantito".

(v) "Tale accertamento non richiede la partecipazione al giudizio del debitore la cui obbligazione è garantita da ipoteca o da pegno e ha un valore endoconcorsuale, essendo, come tale, non opponibile al detto debitore, restato estraneo al procedimento fallimentare, in sede di rivalsa".

Dopo aver inquadrato la natura del rimedio esperibile dal creditore nei casi di cui ai punti (iii) e (iv), la Corte si è premurata di precisare che la decisione resa nell'ambito del reclamo ha puramente valore endoconcorsuale, con la conseguenza che non è litisconsorte necessario il debitore la cui obbligazione è tutelata dal diritto reale di garanzia gravante sul bene del fallito.

Cosa cambia con il Codice della Crisi

Il Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, da un lato, contiene una disposizione ad hoc per la domanda di partecipazione al riparto e, dall'altro, adotta una soluzione intermedia in termini di verifica del diritto di garanzia.

L'art. 201 , invero, prevede la necessaria presentazione – affianco alla domanda di ammissione al passivo e/o restituzione e/o rivendica – della "domanda di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui".

Tale norma ha, dunque, risolto il contrasto giurisprudenziale registratosi in vigenza della Legge Fallimentare, prevedendo la necessità di assoggettare al procedimento di verifica del passivo anche l'accertamento dei diritti reali di garanzia gravanti sui beni confluiti nella massa attiva. Al contempo, però, è espressamente previsto che anche la domanda di partecipazione al riparto venga depositata nel termine previsto per la domanda di ammissione al passivo tempestiva (e/o tardiva, giusta richiamo che l'art. 208 CCII effettua all'art. 201).

In soccorso dell'interprete viene anche il contenuto della Relazione Illustrativa del decreto legislativo di attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, pubblicata sulla G.U. n. 254 del 30 ottobre 2017, la quale precisa che "Nella formulazione del comma 1 viene aggiunta una previsione con la quale è data attuazione allo specifico criterio di delega concernente il sistema dell'accertamento del passivo per cui devono essere chiarite le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore d'ipoteca (articolo 7, comma 8, lettera a), della legge di delega n. 155 del 2017). A tal fine è previsto l'obbligo (da parte del creditore di soggetto diverso da quello nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale) della presentazione della domanda di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura e ipotecati a garanzia di debiti altrui. È conseguentemente integrato il contenuto del ricorso (comma 3, lettera b) nella parte in cui si impone al soggetto che propone la domanda di partecipazione al riparto di determinare l'ammontare del credito per cui intende partecipare".

Posto che l'art. 200 CCII individua – come del resto anche il vecchio art. 92 L.F. – tra i destinatari dell'avviso di apertura della Procedura anche i "titolari di diritti reali o personali su beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del debitore compresi nella liquidazione giudiziale", sarà da verificare se, in vigenza della nuova disciplina, il Curatore trasmetterà il suddetto avviso anche al creditore indiretto, così da consentirgli il deposito dell'insinuazione al passivo, al più tardi, nel termine di cui all'art. 208, comma 1, primo periodo, CCII.

Altrimenti, spirato anche quest'ultimo, il creditore indiretto sarà costretto a depositare la domanda di insinuazione ultratardiva nei termini di cui all'art. 208 comma 3 CCII. In tale ultima ipotesi, va da sé che il ritardo non potrebbe che essere incolpevole, in assenza della trasmissione dell'avviso de quo.

Corte di Cassazione SS. UU., 27 marzo 2023, n. 8557

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*A cura di Linda Frisoni Bianchi - Trainee – Team Concorsuale, Matteo Stroppa - Trainee – Team Concorsuale, , La Scala Società tra Avvocati per Azioni