Penale

Fattore-riforma sui tempi di prescrizione nella responsabilità 231

Da chiarire se coincidono i termini di improcedibilità per persone ed enti

di Antonio Iorio

A seguito del Dlgs 150/2022, di attuazione della delega per l’efficienza del processo penale, rimangono i dubbi sulla durata dei procedimenti per responsabilità dell’ente a norma del Dlgs 231/2001. Non è chiaro, infatti, se siano applicabili le regole sulla prescrizione previste per queste violazioni, ovvero le nuove norme sull’improcedibilità.

Il nuovo regime della prescrizione e della durata dei giudizi di impugnazione individua due segmenti temporali:

1 il “tempo dell’oblio” (cui consegue la prescrizione del reato) inizia a decorrere con la consumazione del reato e cessa con la sentenza di primo grado;

2 il “tempo del processo” (cui consegue l’improcedibilità dell’azione penale) attiene la ragionevole durata del giudizio di impugnazione: due anni per l’appello e uno per la Cassazione.

Il superamento di questi termini determina l’improcedibilità dell’azione penale. Una volta cessato il corso della prescrizione, il tempo successivo non incide sul reato, ma sul potere dello Stato di proseguire l’azione penale.

Il procedimento per l’accertamento della responsabilità dell’ente (ex Dlgs 231/2001) prevede l’applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni del Codice di procedura penale.

Vi sono poi specifiche regole sulla prescrizione: il termine è di cinque anni e decorre dalla consumazione del reato presupposto. Si interrompe in due casi: contestazione dell’illecito da parte del Pm e richiesta di applicazione di misura cautelare interdittiva. Nell’ipotesi di contestazione dell’illecito, la prescrizione non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento: questo elemento differenziava la prescrizione penale da quella per illecito degli enti.

La riforma non fa riferimento alla normativa 231/2001. Si tratta quindi di comprendere se l’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei tempi di durata dell’impugnazione riguardi solo il reato di cui è imputata la persona fisica o anche l’illecito addebitato all’ente.

A seconda dell’interpretazione, le conseguenze sono rilevanti:

escludendo l’estensione dell’improcedibilità alla responsabilità ex Dlgs 231/2001, si continuerebbe ad avere un diverso regime processuale tra persona fisica ed ente. La prima beneficerebbe dell’improcedibilità, mentre per la società il giudizio proseguirebbe;

ammettendo, invece, la prevalenza delle nuove norme, l’ente seguirebbe la stessa sorte dell’imputato persona fisica una volta decorso il termine previsto per quella fase processuale.

Secondo un’interpretazione letterale si dovrebbe giungere alla prima soluzione, confermando il differente regime processuale tra i due illeciti. Al contrario, con un’interpretazione sistematica si arriverebbe alla seconda: le nuove regole sull’improcedibilità sarebbero applicabili anche al processo a carico degli enti, visto il richiamo previsto dall’articolo 34, Dlgs 231/2001 che, pur con la clausola di salvaguardia della verifica di compatibilità, estende le norme del codice di rito all’accertamento dell’illecito amministrativo.

Considerato che nei prossimi anni è prevedibile un incremento delle contestazioni agli enti data l’estensione a numerosi reati fonte, c’è da sperare in un rapido intervento interpretativo della giurisprudenza.

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