Ferrari non può chiedere danni d'immagine solo per la fama mondiale del proprio marchio
Non basta che una relazione commerciale vada male per sostenere di aver subito un evento ingiusto senza fornirne prova concreta
La notorietà mondiale di un marchio non esclude che vada provato l'evento dannoso che la casa produttrice asserisce di aver subito dalla condotta di un contraente. E questo vale anche per la Ferrari che recede da un contratto per l'insolvenza di un proprio distributore. Per cui niente danno all'immagine per relazioni commerciali che non vanno a buon fine se non vi è prova della sussistenza e dell'entità materiale di un danno concreto. Infatti, la Cassazione con la sentenza n. 7384/2021 ha respinto il ricorso incidentale dell'azienda di Maranello, che pretendeva 260mila euro di danni dall'importatore e distributore libanese, ma senza dimostrare quale "appannamento" avesse subito il marchio dalla condotta del contraente straniero. La vicenda riguarda il diritto di recesso unilaterale esercitato in base a clausola contrattuale dalla casa produttrice delle ambite "rosse". Un recesso legato - in base a contratto - all'avvenuta apertura di procedure di insolvenza contro l'importatore. Recesso giudicato legittimo dalla Corte di appello di Bologna, che aveva però rigettato la connessa domanda di risarcimento per danno all'immagine senza aver fornito alcuna prova dei risvolti negativi per il brand, anche solo sul mercato libanese, di una vicenda meramente contrattuale di cui andava provata l'eco, al di là dei rapporti negoziali tra le due parti. La domanda veniva invece fondata sulla notoria fama mondiale del marchio, come presupposto di per sé sufficiente a presupporre un danno.Ciò che non è, come ora conferma la Cassazione.
L'altro aspetto affrontato dalla Cassazione era il motivo di ricorso dell'operatore libanese che riteneva vi fosse stato un illegittimo uso del diritto di recesso, come pattuito nel contratto. La clausola negoziale, in realtà, prevedeva la possibilità del recesso unilaterale di Ferrari nel caso in cui fosse avviata una procedura concorsuale contro l'importatore, mentre quest'ultimo voleva rivendicare la rinuncia a coltivare il ricorso fallimentare da parte dei suoi creditori. La Cassazione respinge tale interpretazione di parte in quanto la clausola parlava espressamente di avvio della procedura e non di fallimento e, precisa la sentenza, che a norma dell'articolo 1373 del Codice civile il recesso unilaterale va letto in base all'autonomia negoziale e non ai principi che la legge pone in via generale per il suo corretto esercizio. La clausola non può quindi essere interpretata al di là di quanto letteralmente esprime.