Comunitario e Internazionale

FIFA, norme su trasferimenti internazionali sono contrarie al diritto dell’Unione

Per la Corte Ue, sentenza nella causa C-650/22, ostacolano la libertà di circolazione dei giocatori e restringono la concorrenza tra i club

immagine non disponibile

Alcune delle norme della FIFA in materia di trasferimenti internazionali di calciatori professionisti sono contrarie al diritto dell’Unione. Lo ha stabilito la Corte Ue, con la sentenza nella causa C-650/22, affermando che ostacolano la libertà di circolazione dei giocatori e restringono la concorrenza tra i club.

Il caso - Un ex calciatore professionista stabilito in Francia contesta dinanzi ai giudici belgi alcune delle norme adottate dalla Fédération internationale de football association (FIFA), sostenendo che esse hanno ostacolato il suo ingaggio da parte di un club di calcio belga. Le norme in questione sono contenute nel «Regolamento sullo status e i trasferimenti dei calciatori» (RSTI) della FIFA.

Tali norme, si applicano, tra l’altro, nel caso in cui un club ritenga che uno dei suoi giocatori abbia risolto il suo contratto di lavoro senza «giusta causa» prima del termine. In casi del genere, il calciatore e qualsiasi club che intenda ingaggiarlo sono responsabili in solido. Inoltre, il nuovo club è passibile di una sanzione sportiva consistente nel divieto di ingaggiare nuovi giocatori. Infine, la federazione nazionale da cui dipende il club di provenienza del giocatore deve negare il rilascio di un certificato internazionale di trasferimento alla federazione presso la quale è iscritto il nuovo club finché tra il club di provenienza e il giocatore è pendente una controversia in merito alla risoluzione del contratto.

La motivazione - La Corte Ue interpellata sulla questione ha dichiarato che l’insieme di tali norme è contrario al diritto dell’Unione. Da un lato, le norme in questione sono tali da ostacolare la libera circolazione dei calciatori professionisti che vogliano far evolvere la loro attività andando a lavorare per un nuovo club, stabilito nel territorio di un altro Stato membro dell’Unione. Anche se è vero che restrizioni possono essere giustificate dall’obiettivo di garantire la regolarità delle competizioni tra club, mantenendo un certo grado di stabilità nell’organico, tuttavia, nel caso di specie, le norme, fatta salva la verifica da parte della cour d’appel de Mons, sembrano spingersi, sotto molti aspetti, oltre quanto necessario per il perseguimento di tale obiettivo.

Per quanto riguarda, dall’altro lato, il diritto della concorrenza, la Corte dichiara che le norme controverse hanno lo scopo di restringere, se non addirittura di impedire, la concorrenza transfrontaliera che potrebbero farsi tutti i club di calcio professionistici stabiliti nell’Unione ingaggiando unilateralmente giocatori contrattualmente legati ad un altro club o giocatori il cui contratto sia stato asseritamente risolto senza giusta causa. A tal riguardo, la Corte ricorda che le norme che restringono in modo generalizzato la concorrenza sono assimilabili ad un accordo di non sollecitazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©