Famiglia

Figlio "rifiutato", risarcimento del danno anche dopo 25 anni

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40335 depositata oggi

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di Francesco Machina Grifeo

Il figlio gravemente trascurato dal genitore ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale ed esistenziale patito. Inoltre, l'azione può essere esercitata anche a distanza di un quarto di secolo. Infatti, il danno da "deprivazione genitoriale", derivando dal compimento di un "illecito permanente", si verifica momento per momento fino al maturare di un termine fissato ed individuabile non nel raggiungimento della maggiore età, ma dell'indipendenza psicologica del figlio che per convenzione viene fatta coincidere con l'indipendenza economica. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 40335 depositata oggi, respingendo il ricorso di un padre condannato a pagare 61.500 euro alla figlia, in considerazione del "lungo lasso di tempo, 25 anni, del comportamento omissivo".

Secondo il padre, invece, l'azione doveva considerarsi prescritta in quanto con il compimento della maggiore età, la figlia aveva conseguito la piena capacità di agire, sia in senso cognitivo e psicologico che economico, e non era emerso alcun elemento di fatto che facesse dubitare che non fosse perfettamente in equilibrio, inserita socialmente e assistita economicamente. Mentre tutti i riferimenti alle sofferenze psicologiche derivanti dalla privazione del rapporto genitoriale si riferivano al periodo adolescenziale, quando aveva manifestato il desiderio di conoscere il padre.

La Cassazione nel rigettare il ricorso ricorda (ordinanza n. 11097/2020) che "l'illecito endofamiliare di protratto abbandono della prole … produce anche un danno non patrimoniale lato sensu psicologico-esistenziale, ovvero che investe direttamente la progressiva formazione della personalità del danneggiato, condizionando così pure lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa". Dunque, "la natura del diritto azionato ne rende del tutto giustificabile, in mancanza di limitazioni legali, l'esercizio in una fase di maturità personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso" (Cass. 22/11/2013 n. 26205).

Occorre, infatti, prosegue il ragionamento, che la vittima dell'abbandono "si svincoli dall'incidenza percettiva e comportamentale del notorio istintivo desiderio filiale di un rapporto positivo con il genitore, per raggiungere una maturità personale" che la renda capace di percepire la "reale situazione a sé pregiudizievole e di assumere reattive decisioni di contrasto con la persona desiderata". E dunque, una volta "accettata psicologicamente la illiceità della condotta del genitore", chiedere il risarcimento dei danni subiti "quale figlio rifiutato". Deve dunque ritenersi corretta, conclude la Suprema corte, la decisione della Corte territoriale che ha escluso, nel caso di specie, che il diritto alla pretesa risarcitoria si fosse estinto.

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