Civile

Finanza pubblica, contributo regioni sostenibile solo a determinate condizioni

Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza numero 152, depositata oggi, decidendo un ricorso della Regione Campania

«La totale preclusione per l’intero quinquennio dell’impiego per investimenti da parte delle regioni in disavanzo risulta, in effetti, potenzialmente idonea a determinare, al termine del periodo di applicazione del contributo alla finanza pubblica, eccessivi divari infrastrutturali tra i territori, a causa di una discriminazione tra le regioni che si può riflettere in un pregiudizio al principio di eguaglianza sostanziale. Questa Corte, quindi, ritiene necessario sollecitare il legislatore, per le annualità successive a quella in corso, a rivedere, in una fisiologica dialettica con le regioni orientata al bene comune, l’eccessiva rigidità del meccanismo, consentendo anche alle regioni in disavanzo di utilizzare una parte del contributo per la spesa di investimento».

È quanto si legge nella sentenza numero 152, depositata oggi, con cui la Corte costituzionale ha deciso il ricorso della Regione Campania avverso l’articolo 1, commi 784, 786, 789, 790, 792, 793, 796 e 797, lettere a) e d), della legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027).

La Corte ha dichiarato non fondate tutte le censure della regione, che riguardavano la legittimità della misura, le modalità e la durata del contributo richiesto alle regioni a statuto ordinario come concorso agli obiettivi di finanza pubblica, stabiliti dalla legge di bilancio 2025. Ha tuttavia sollecitato il legislatore su un duplice versante. Da un lato a rivedere la rigidità della preclusione, per le regioni in disavanzo, all’utilizzo del contributo per la spesa di investimento.

Dall’altro a coinvolgere la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, secondo quanto già auspicato dalla sentenza numero 195 del 2024, perché tale coinvolgimento deve ora «ritenersi certamente indefettibile» in occasione della manovra di bilancio per il 2026, in quanto è funzionale a salvaguardare l’assetto costituzionale, e cioè a scongiurare l’adozione di “tagli al buio”, i quali oltre a poter risultare non sostenibili dalle autonomie territoriali, «con imprevedibili ricadute sui servizi offerti alla popolazione, non consentirebbero nemmeno una trasparente ponderazione in sede parlamentare».

Gli importi del contributo richiesto alle regioni sono, infatti, considerevoli e impattano in modo significativo sull’autonomia finanziaria delle regioni, «la cui voce deve, necessariamente, essere almeno sentita nelle sedi appositamente preposte dall’ordinamento, anche al fine di poter fornire al Parlamento gli indispensabili elementi istruttori necessari per assumere le decisioni».

Altrimenti è forte il rischio che si scarichino eccessivamente sulle autonomie regionali le esigenze di contenimento della spesa pubblica, «frustrando così la stessa loro possibilità di porsi in termini generativi all’interno di quel pluralismo istituzionale che la Costituzione mira a garantire».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©